lunedì 9 agosto 2010

Daphnis, Chloe (vulgo: Dafni e Cloe) e l'anfora di Empoli




L'antico archeologo, generato dal nitore di statue e dal suono degli esametri, non si può arrendere al canto del profilo di piatti e anfore, al diverso arrotondamento del labbro in rapporto allo sviluppo del collo, alla larghezza della spalla riferita al diametro del piede, e al coefficiente che generano incrociandosi spessore delle pareti e colori del Munsell.
Le tondeggianti anfore di Empoli, corpi ovoidi labbra piene, al botox, snello collo con anse solide ben piantate su spalle sfuggenti secondo il volger dei secoli, trovano un po' di colore, sull'avana smorto di pareti concrezionate dalle argille d'Etruria, nelle leziosaggini pastorali dell'isola di Lesbo, Dafni e Cloe, se solo si filtrano le nostalgie idilliche (o idilliache) dei vagheggiamenti rurali del retore e del suo pubblico. Son quelli gli anni, fra le pestilenze giunte dall'Oriente e i Marcomanni alle porte, e poi Pertinace e le terre abbandonate, che dal tipo 'di Spello' portano al tipo 'di Empoli', nei sempre più frequentati contesti d'età imperiale delle terre dell'Etruria settentrionale. Sono anche gli anni della storia perfetta dei due finti pastorelli, con le grotte delle Ninfe e la vendemmia condivisa da contadini e pastori, nel lacus rurale lontano dai dolia, nei latifondi perfetti di terra per cereali, di colline per viti, di selve per il pascolo: non sono gli estenuati estetismi del Daphnis et Chloe – si direbbe – il commento migliore di queste storie con virtuosistici tormenti, ma le severe sequenze dei sarcofagi con scene pastorali, la composta fatica dei rustici, la serena quiete dei signori. Spunta un'anfora di Empoli (piacerebbe) nell'intreccio di viti e di arbusti, accanto al bacio inconsapevole dei due.

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