lunedì 19 aprile 2010
Pesci in blu, pesci d'Arno sulle maioliche del Quattrocento
Carpe o tinche, o barbi: il pesce azzurro che naviga sereno, turgido, con occhi umani e bocca baffuta nelle maioliche di Montelupo del Quattrocento sembra appena uscito dalle acque dell'Arno, dfa pesche miracolose che integrano la povera dieta dei contadini. Pronti, distesi sul piatto o sulla scodella, o celebrati nel tondo tricromo dei boccali, fra foglie inverosimili, per proporre la migliore esposizione del pesce da servire alla brace, lesso, o chissà come, in un'epoca che di certo non doveva avere il culto del pesce freschissimo.
O ricordo dei pesci in blu e neri di due secoli prima, pesce di mare, diluito sulle maioliche giunte dall'Africa con i sacchi di farina, sulle navi pisane e con i mercanti lucchesi? Son tondi, paffuti, come i pesci del secondo Quattrocento, non hanno i denti come i pesci feroci che guizzano con il corpo di zaffera sugli orcioli di Giunta di Tugio.
Modelli iconografici e suggestioni della realtà, si direbbe filosofeggiando e teorizzando sul circuito di schemi e simboli che giungono anche al misero mondo dei vasai del povero castello sull'Arno, e che questi ripropongono ai loro clienti, colore a buon mercato per portare sulle tavole di coloni e mezzadri, di monache tormentate il sogno del Rinascimento.
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