giovedì 25 marzo 2010
I colori della cattedrale di Maximus a Tuscia de Luca, e le pie donne di Ilaria
Nell'universo al femminile dei beni culturali, fra Cenerentole e Streghe, sono le pie donne che custodiscono il sorriso perduto di Ilaria (del Carretto) a lavare piamente le reliquie della cattedrale da cui venne a Serdica (o come si chiamava), nel 344 (o giù di lì), il vescovo Massimo.
Trame di austeri colori, rigorosamente iconofobe, con trecce e quadrati e geometrie dell'incrocio e del colore, come i mosaici dell'età dei Costantinidi di quest'angolo d'Italia, sosteneva nei suoi anno di mezzo l'archeologo che cercava di capire il Tardo Antico della Toscana quando non era di moda, e non è più di moda (soggetto: l'archeologo) ora che è di moda, fra miti e riti di chi ritiene inutile Cassiodoro, e fortunatamente ameno Rutilio.
Ritrovano per un attimo, dopo il lungo sonno, risvegliati dai sacri bagni di liquidi stillati da una candida operatrice (il restauro esige il bianco), la luce perduta sotto patine, e hanno vita anche i frammenti persi in secoli di devozioni, nella chiesa vissuta sette secoli prima di divenire la seconda e poi essere sepolta dalla terza, metafora suprema della vita della città di Lucca.
Le pie donne di Lucca, che fra Sant'Hermès e San Carlo Ludovico vivono ancora di San Martino e di Santa Reparata, santi dimenticati, fuori moda, con il misterioso mantello del primo e le strane storie della seconda. I mosaici di Maximus, a Tuscia, de Luca: qualche pellegrino affronta il sottosuolo di Lucca, perdendosi nel labirinto della storia, e Arianna ancora non sa se scegliere Teseo.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.