venerdì 5 febbraio 2010
Il trionfo dell'acqua nella Terra dell'Auser
La sola certezza è l'acqua, nello scavo sempre più ottocentesco, inseguendo cacciatori di bombe perdute, in campi che avevano le diritte geometrie della centuriazione e il nitore dell'agricoltura lucchese del Settecento, e ora sono devastati come le terre della Somme dopo un cannoneggiamento di dieci ore, da seicento buche aperte per cercare seicento bombe, senza trovarne neppure una.
In compenso archeologi sguazzanti nelle pozzanghere, temprati dal ghiaccio, dalla neve, dal vento, dalla noia, dalle marce nel fango, dal salto dei fossati, dal senso di inutilità di tutto quanto predetto, hanno trovato sin troppo in campi dimenticati, e soprattutto hanno trovato ciò che il vero archeologo si attende: l'incomprensibile, il mutilo, l'enigmatico, l'ambiguo frammento che vaga nelle nebbie dei secoli e sfugge, con i capelli tagliati più del Kairós, ad ogni finezza esegetica.
Ogni muro è una sfida, gli strati son muti, il loro intreccio si perde in tipologie ineffabili. E nel canale, sola certezza, affiora subito l'acqua, non permette di cogliere il piano di scorrimento (direbbe l'archeologo), metafora suprema di tutta l'impresa di cinque mesi.
E persino il relitto di muro che galleggia su livelli limosi nei quali si affonda tutto, solidamente ancorato ai decenni di passaggio fra XIX e XX secolo dai piatti di Mondovì e dalle pentole delle Alpi Marittime, lascia stupefatte le meravigliose archeologhe lucchesi che l'hanno ripreso dalle mani dei loro nonni o bisnonni; e ancor di più l'archeologo che nella fugace visita mimetizza il suo senso di impotenza e la stanchezza del girare a vuoto con qualche immagine che ricordi gli straniati profili di campi incorniciati da una sequenza inimmaginabile di corti lucchesi del Settecento, villette senza forma, capannoni senza storia e senza più vita.
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