domenica 31 gennaio 2010
Gli anni del sarcofago Ludovisi (con scena di battaglia) nella Terra dell'Auser
Amici e parenti, appassionati della Terra del Quattro Fiumi pian piano riescono ancora una volta a riempire l'asettica sala del forum che la Terra dell'Auser si è data, non lontano dalla vecchia mansio di Quarto, vicino alla taberna perduta da secoli.
È stanco l'archeologo stasera, la celebrazione di un vetusto rito non riesce più a solleticare entusiasmi, l'attesa del miracolo è sempre più flebile. Celebra la sua litania di ringraziamenti, senza far trasudare neppure un filo di emozione ... ma la modernità anni Settanta è più senescente dei ruderi e dei relitti di paesaggio con cui tenta di convincer se stesso. E poi la finissima restauratrice tenta di assopire quel che resta delle pubbliche attese, diluendo torniti vasi, buccheri resi dalle manine sue più belli di pria, monete sfavillanti di un ritrovato color del bronzo, in teorie e prassi di metodo incupite dal verde che emula i primi sforzi della primavera.
Ma tutto si solleva quando uscito dalla terra il giovane archeologo fa cantare la pozzanghera in cui finivano cocci e macerie. L'arancione delle scodelle giunte dall'Africa ci porta a quegli anni della metà del III secolo che tanto hanno da dire, gli anni di imperatori che corrono dall'una all'altra frontiera, di navi che portano grano vino (e pirati), di furia barbarica e furia romana. Gli anni del sarcofago Ludovisi, con eleganti guerrieri romani abbelliti come i barbari dal nitore di un remoto ellenismo, portati a morire e a uccidere da un dux che solo ha l'asprezza dei ritratti di pretoriani finiti a Fiesole e a Livorno.
Strati di bruciato riconosciuti e distinti con arte somma, in pazienti giornate d'autunno spesso diluite nella pioggia, per un attimo illuminano dei loro colori anni cupamente chiari alle frontiere dell'impero e nelle iscrizioni di senatori cavalieri pretoriani, oscuri in queste contrade della Terra dell'Auser. Si fantastica di osterie di campagna che confezionano squisite pappine, con un po' di vin buono (?) dell'Etruria che riscalda la sosta più del fuoco acceso; forse si vaneggia, anche se la scienza e l'erudizione sostanziano di potenziali note a pie' di pagina il racconto.
Ma infine il pubblico s'allieta, e sente di non aver sottratto invano ad altre cure due ore di un pomeriggio di un inverno che sta diventando primavera.
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