mercoledì 30 dicembre 2009
I delfini della Piana di Lucca e il nuovo anno
Dovevano essere beneauguranti gli amici delfini che guizzano intorno ad una ruota di onde – povera stilizzazione dell'artigiano di campagna? – sulla lastra che guardava il fiume, amico e nemico, sulle sponde dell'Auser, agli albori del I secolo d.C.
L'anno dello spirito segue i suoi ritmi, preferisce vedere nella primavera la nuova vita; ma l'anno laico impone bilanci, ed è nel cuore dell'inverno, quando la luce ogni giorno di più s'impone sulle tenebre, che si è deciso, a tempore Romanorum, di far partire bilanci e conteggi, e l'entrata in carica dei nuovi consoli.
La storia ha i suoi ritmi, che non sono (solo) quelli dei consoli, e se il ciclo della vita di ognuno ha suoi tempi e suoi modi, convenzione di civiltà vuole che si facciano gli auguri, in questi giorni, tristi per la sicura fine di un viaggio intorno al Sole, necessariamente fiduciosi nell'attesa che il nuovo viaggio porti cose migliori. Il Sol Invictus risorge, o, come dice il poeta morto giovane, «Soles occidere et redire possunt ...» aggiungendo spiacevoli conseguenze, sulle quali facciamo scendere l'ombra del tramonto invernale, quando la nox dormienda è interminabile, il lusus catulliano perso da tempo.
Buon anno, dice l'archeologo, che vede sepolti nella terra infiniti cicli, e non è molto convinto che il prossimo sia migliore, anche se da ogni zolla rimossa si attende la soluzione delle infinite domande che la terra gli pone.
domenica 27 dicembre 2009
Per Francesco Nicosia, un soprintendente (che voleva essere archeologo), in un'era di soprintendenti per i beni ...
Furori di gioventù, in anni che sembrano ieri e sono remoti, quasi trenta, quando primus inter pares il Soprintendente eccitava o calmava i Consigli d'Istituto, si contendeva e si urlava, e poi il sopralluogo a Roselle risolveva al Tordaio giornate intense, con i muri che svettavano fuori da terra, e assistenti praticoni accomodavano, con muratori autodidatti, mosaici che ancora sfidano le acque del Tirreno. E come succede fra archeologi, rivalità e invidie, motori del progresso, portavano alla tutela capillare delle sacre città d'Etruria, inseguendo uno per uno gli scavi urbani, imponendo la dura norma della tutela quando le leggi erano ancora vaghe.
Non poteva sopravvivere questo mondo quando si volle dare il Carisma dell'Unzione al Dirigente, farne da Scienziato dell'Antichità, come suonava la rivista risuscitata per un battere d'occhio, un Tutore della Procedura, perfette procedure, con cento articoli e commi e infiniti sottocavilli che non fanno uscire un muro da terra, non accomodano i mosaici schizzati dalle onde del Tirreno, nella limpida esattezza dei capoversi e delle citazioni. E gli archeologi, da scienziati che votavano per il CNR, divenuti funzionari abilitati solo a inseguire procedure inani volute da leggi moltiplicate, che velano il poco (talora il nulla), 'inferiori' fantozziani nel carisma di intrecci dirigenziali che fanno sembrare le gerarchie ecclesiastiche o quelle mitriache uno scherzetto rivoluzionario: Dirigenti di prima, di seconda, Superiori, a Roma e qua, tutti a dirigere uno splendido flusso di pratiche, carte oggi nobilitate dal pdf.
Con queste pratiche non si sarebbero cercate e scavate navi in fondo al mare, e infatti non si scavano più, con la passione dei subacquei volontari, e non si sarebbero acquistate alla Stato ville e città, non si sarebbe fatto di una squadrata pianura un capolavoro di attività di tutela (sia detto senza falsa modestia). Staremmo ancora a dissertare su quale cavillo affrontare, chiedendo lumi a destra e a manca, in alto e in basso, per fare del Demanio di Bonifica un Bene Archeologico (magari oggi ci domandiamo a che serva, ma allora sembrava che questo fosse il futuro, non le scandite lettere delle Superiori Direzioni, con il lucido fluire di commi richiamati come opliti a Platea).
E gli scontri con la Sorella dell'Avvocato, le Urla infinite, dal mare di Orbetello alle stanze di Firenze. Non era facile convivere, spesso difficile, di certo creativo, come è creativa la Tensione. Figlio della Terra di Empedocle, forse sapeva nel suo sangue che Polemos è fonte di progresso.
Oggi la Dialettica di Grida e di Sangue è spenta nel Perbenismo dei duecentocinquanta articoli che hanno ammazzato i quaranta del '39 (il tuo anno) in un mare di scogli. Ma questo è il Progresso, e Destra e Sinistra (non tanto curiosamente, direbbe il lettore di Syme) vanno a braccetto. Il mondo tuo finì proprio in quegli anni, il Bilancino aveva piegato in basso le tue sorti nella rosseggiante Terra d'Etruria, che amavi di un amore possessivo, talora ossessivo, sempre creativo.
Addio Francesco Nicosia.
sabato 26 dicembre 2009
La Città di San Frediano (ovverosia: pianta i pali, e poi San Frediano fa il miracolo)
Potrebbe essere cosa da sciacalli commentare e filosofeggiare mentre c'è chi si dibatte fra le acque del Serchio, dilavate dall'Appennino e dalle Panie; forse lo è. Ma in queste ore livide e di sofferenza, dopo che gli otto venti si sono succeduti portando ognuno la sua dote di neve e poi di acqua, di caldo e di freddo, non si può non ricordare che Lucca non è la città di San Pompeo (Batoni), di San Carlo Ludovico (...), di Sant'Elisa, co-fondatrice dell'Ordine delle Zoccolone, o di Sant'Hermès, Patrono dei Foulards (sono le fisse di Segni dell'Auser, è un po' vecchio, sopportiamo le sue debolezze della prima senescenza). È la Città di San Frediano, celebrato nelle superbe immagini della chiesa che lo ricorda anche ai Lucchesi dimentichi, di lui e di San Giovanni Leonardi, tanto dimentichi che pagano per far vedere Amico Aspertini a Bologna, e non nelle pareti della Chiesa del Santo.
L'oscura civitas di Lucca due volte appare nel VI secolo, come direbbe lo 'scienzato dell'antichità', quell'incrocio tedeschizzante fra archeologo e storico che usa tutti gli strumenti della Altertumwissenschaft. La storia non è magistra vitae, la storia antica è roba da bambini delle elementari, ma qualche volta rammentare gli eventi del passato potrebbe far comodo anche ai giorni nostri, e a qualcuno che non è più bambino.
Quando le soldatesche bizantine assediano la città, presidiata dalle soldatesche gote (franche: già allora i Francesi facevan del male alla città devota di Sant'Hermès), la 'società lucchese' si agita parecchio, in trattative e intrighi, e infine patteggia il cambiamento di parte, indolore, appena appena sollecitato dalle macchine da guerra di Narsete; e siamo negli anni Cinquante del secolo forse più terribile della storia d'Italia, con alluvioni e carestie, guerre e pestilenze, tutti i Cavalieri dell'Apocalisse impegnati a far morire il mondo antico, e crearne uno (comunque lo si voglia vedere) assai peggiore: alla faccia della Magistra Barbaritas, buona per un titolo di librone bancario, o delle celebrazioni francesi di Roma e i Barbari, in una città salvatasi dai Barbari (Venezia).
E poi, un po' dopo (forse), nell'infuriare dei Quattro Cavalieri, quel che resta della civitas Lucensis s'impegna a regimare il fiume riempito dalle acque inesorabili delle continue alluvioni del secolo (riscaldamento globale anche allora?). Amico Aspertini celebra la città dei suoi anni con un primo piano sulle tecniche di regimazione idraulica del Cinquecento. Solo all'insufficienza della civitas sopperisce il Santo Idraulico, con il Rastrello. Aiutati che San Frediano ti aiuta, sembra dire Amico Aspertini o chi gli detta il tema: i Fiorentini sono alle porte, i torrioni del '14 sono appena appena un deterrente,ma anche il Serchio è sempre lì, divaga sin sotto le mura, come vide solingo l'archeologo nell'81, quando le ghiaie con il morto apparvero sotto i terrapieni del Cinquecento, e come ha rivisto, in splendida compagnia delle meravigliose archeologhe lucchesi, un paio d'anni fa nelle ghiaie che fecero crollare le nuove mura, appena appena oltre la Chiesa del Santo. Ma i Lucchesi, dal VI al XVI secolo, e oltre, piantavano i pali, e non costruivano sulle ghiaie del fiume ... e San Frediano, quando poi tutto falliva, usava il Rastrello.
lunedì 21 dicembre 2009
San Giuliano porti un bel pacco al Palazzo degli Anziani (o Palazzo Ducale, in attesa di chiamarsi Maison d'Elise)
La Maison d'Elise, pourquoi pas? Il Nidus Tyrapnidis di Castruccio, dimenticato e cancellato perché un po' fascista, poi il Palazzo degli Anziani, poi la Torre della Zecca, simbolo del Comune e della Repubblica, con la Balzana bianca e rossa, rasa al suolo per far la piazza (o per cancellare i segni della Libertas, insinuerebbe qualcuno, con l'Archivio e altri Luoghi della Repubblica). E ora divenuta la Maison d'Elise, sede della Maison d'Hermès ... la maison, la maison, avec ses dames.
Arriva Babbo Natale nel Palazzo del Duca, con un sacco di doni per tutti, centri d'accoglienza e mulattiere perdute, e Segni dell'Auser si compiace per i mille rivoli che inondano antichi selciati di montagna, dimenticando solo la via per Reggio e Modena, lo Spedaletto di Sillano.
E nel clima natalizio, reso più suggestivo dalla neve che copre la Terra dell'Auser, e ovatta le infinite astuzie dei suoi Figli Rinnovellati, fa preci acciocché San Giuliano, protettore dei Pellegrini, con la sua storia complessa e tormentata, vada a far visita al Palazzo. Non dovrà far molta strada, perché i Lucchesi della Repubblica gli dedicarono una chiesa e uno Spedale, lungo la Via Francigena, in città, e forse proprio sotto il Palazzo del Duca. Li cancellò il Nidus Tyrapnidis, li hanno ritrovati scavi figli della Colpa e ora se ne sono dimenticati. Ma si sa, questa è archeologia, la Via Francigena è bella quando si selciano di nuovo antiche mulattiere, non quando si parla di scavi. Uffa che noia, che barba, che noia!
Ma San Giuliano, che è un Santo, seppur dimenticato nelle stanze sopra la chiesa e lo spedale che gli dedicarono i Lucchesi del XII secolo, proteggerà anche coloro che lo hanno cancellato, nelle loro esotiche vacanze o sulla neve. E si farà compagnia con un altro santo lucchese dimenticato, San Giovanni Leonardi. Nel frattempo nella Maison d'Elise si ammirano i foulards di Hermès. Chissà se ce ne è qualcuno con le storie di San Giuliano, onorato dai Lucchesi, amato da Sant'Antonino, patrono di Macerata, dimenticato da chi ci sta sopra ...
mercoledì 16 dicembre 2009
Scavando con Columella, e con gli Amici dei Segni dell'Auser
Con Columella e Catone a far da interpreti, si scoprono i Segni dell'Uomo, nell'agro centuriato di Lucca, fatiche dei veterani di cento battaglie, o fatiche dei contadini del Seicento. Segno su segno – mentre la tramontana vela d'azzurro il cielo e il freddo taglia la testa – di paesaggi perduti per sempre, dove le Ninfe Driadi della Terra dell'Auser lasciano il passo alle Figlie di Asclepio (alias: no boschi, sì ospedali). Godranno i Figli della Terra dell'Auser del sorriso delle nuove dee, e l'archeologo cerca di ricomporre campi perduti, fra cento illusioni ...
Affollano la terra che celava i Segni dell'Uomo altri Figli del Cielo e dell'Acqua, che sfruttano fino all'ultimo le risorse di zolle fumanti. A qualcuno almeno gli scavi servono ...
venerdì 11 dicembre 2009
Le virtù delle castellane, le virtù delle archeologhe/ceramologhe (chiudendo con Camporgiano)
Molta ammirazione, un pizzico di invidia (pepe del progresso o sentimento dell'esclusione) per lo snello libro di Graziella (Berti) e Marcella (Giorgio), ospitato da Marco (Milanese), ricco di colori, di tabelle, in sede prestigiosa. I colori dell'estate dell'82, quando folleggiava Paolo Rossi e l'Italia con lui, e il giovane ispettore (allora sì) si immergeva in dispute sanguigne con il geometra comunale per velare di strati i muri che egli stava svelando con la gioia di ridare luce alle mura sepolte. E fra gli strati i cocci che ora han preso colore e numero, e raccontano, in geometrie cartesiane, la storia di un vasaio di Lucca, venuto da Savona, i suoi tristi piatti per le mense dei poveri del 1650 o dintorni; mancano le attese maioliche bianche e blu, e l'archeologo direttore coordinatore, ormai vecchio, le vuol vedere nei fondi del palazzo. Ma questi rimarranno i suoi sogni di provincia, e solo dispiace che nel prezioso libro, fra molti colori (ma non esageriamo, i graffitisti lucchesi del Seicento si limitavano a due più il fondo ...), non ci siano i colori e i suoni di quell'estate, quando – come si direbbe con il gergo ministeriale – 'l'archeologia di tutela cominciava a dare prove di sé anche a Lucca'. Ma alle virtuose archeologhe-ceramologhe, intente a tracciar le curve in cui s'adagia il rapporto fra altezza, diametro alla base, fratto due e moltiplicato per il coefficiente di inclinazione della tesa con il cavetto, questo non interessa. E neppure alla scienza accademica (forse?).
E allora l'oggi archeologo direttore coordinatore si consola con le graffite ferraresi che il compagno di tante avventure salvò in anni giovanili, con scelti compagni nella remota Garfagnana (King Arthur anche lui, e per questo tanto simpatico), e ancora cura e vezzeggia come si fa con i figli ... Avvezzo più alle ceramiche attiche e agli insegnamenti dei maestri di gioventù, attenti a tocchi di pennello, a curve di clavicole, a narrazioni di storie e fluire di iconografie, l'archeologo di provincia si esalta con le virtù delle castellane di Camporgiano, che nella rocca ferrigna di Garfagnana si (rap)presentano con le storie d'amore che con fresca grazia emiliana raccontava il buon Ferrari, e che sopravvivono anche alle classificazioni dei professori giunti dal Tirreno sull'Adriatico, e dei loro seguaci. La dama che guarda l'unicorno, il liocorno segno di virginea purezza ... una scheggia di Schifanoia finita a dar colore alla rocca voluta da Borso d'Este. Anche i colori della graffita di Ferrara, alla fin fine sono un paio, ma se li si legge con attenzione divengono infiniti.
martedì 8 dicembre 2009
Segni dal cielo, segni dalla terra: misteriose presenze nella Piana di Lucca
Serpeggia l'invidia per i giovani colleghi, nel vecchio funzionario, quando vede il loro fervore capace di portare energie dimenticate in vecchi scavi: la terra fra Ombrone e Albegna conosce nuove stagioni, affollate di sapere e di passione, là dove si aggirava un tempo solitario, con colleghi solitari, e il sapore di una terra dimenticata si rinnova; e Massaciuccoli non è più il solitario rudere da cui si mira la Gorgona e si sognano le rotte del Mediterraneo pensando al Nottolini e ai poveri orizzonti di un'archeologia di provincia, negli anni Venti di un secolo dismesso. Gonfia il rimpianto quando Teofilatto Simocatta non richiede più affannose ascese nelle ultime stanze della Biblioteca della Normale, e per accedere al Carchidio non occorrono suppliche e devozioni per bibliotecarie fiorentine: la meraviglia di Google Libri è lì, per lasciare energie da dedicare alla terra e ai suoi conquistati frutti. Ma la storia è storia, soggiunge il funzionario storicista, che ben sa che ogni epoca ha i suoi riti. E ancora nell'autunno del suo percorso può accedere alle meraviglie di una macchinetta con fili e senza fili che fa vedere il mondo, e fa vedere anche i suoi scavi.
Ma quando dalle immagini del satellite che nei suoi anni fiorenti neppur sognava, perché il satellite era inaccessibile, si rivela un intreccio di Segni della Terra (cropmarks, direbbero gli anglofoni maestri?) che corrispondono e guidano i Frutti della Terra che maturano nel fango di un cantiere confuso, e rimpiange il Vecchio Amico che se ne è andato, che certo avrebbe scorto tracce sottili e ne avrebbe fatto colori squillanti, rammenta che ancora i Catasti del Cinquecento, la Casa delli Aranci del Sercambi, gli oscuri orizzonti di una campagna tanto frequentata e ancor piena di misteri, anzi, sempre più misteriosa quanto più disvela il suo colore, ripetono antiche sfide.
sabato 5 dicembre 2009
La H e la F: il Tesoro del Lago, aspettando lumi dal Triveneto
La F e la H, la H e la F: solo questo il povero archeologo tuttofare riesce a decifrare in esausti tondelli (o quadrelli) che finissime mani di stagiste americane, sapientemente pilotate da esperti restauratori, hanno restituito al color dell'argento, senza far troppo male alle robuste concrezioni che stimolano l'occhio. Una S di Pisa, V V di Luca, o qualcosa del genere, confortano la lettura di un freddo mattino di dicembre, quando matura, seppur con robuste croste, il frutto delle fatiche di Augusto, si conclude la storia romanzesca di una manciata di monetuzze sottratte alla torba in anni remoti, dal fondo del Lago tanto trafficato, come ci documentano gli atti di Bientina, ai primi del Duecento (ma anche prima e dopo). Ma il Signore delle Monete certamente riuscirà a penetrare anche in legende forse mai leggibili, a scoprire intrecci di coni su ribattiture multiple. Le Faide di Comune, gli assalti ai castelli sul lago, i porti trafficati dal ferro e dai vasi, la signoria dell'Abate e le minacce dell'Arcivescovo, per un attimo si mescolano nelle F di Pisa e nelle H (che non sono H ...) di Lucca, segni di devozioni imperiali diverse, rivali e unite dagli affari, oltre che dalle passioni archeologiche di Biduino.
mercoledì 2 dicembre 2009
La storia nei cocci, la storia nei muri: il Tau e i Capponi ad Altopascio
È vero – forse – che senza passione e senza emozione i colori languono, e nella decorata stanza che lo accoglie tra le luci sofferte di una sera novembrina, decorosa sede per l'ultimo saluto al duoviro (o qualcosa del genere: siamo precisi) di campagna, l'Arringatore evoca riti funerari, più che le passioni degli anni delle guerre civili. Non c'è luce nel bronzo sfinito dalle fini tecniche di restauro, esaurito dalla dottrina sapienziale dell'indagine dei fondi di archivio, se il frastuono della battaglia politica e il sangue dei Sillani e dei Mariani non lo colorano. Ma anche le armi dell'ultima battaglia di Talamone, i pila piegati che il fabbro ritemprava per l'ultimo getto, sono accumulati in delicato ordine alfabetico in un museo che trasforma la storia in scienza linneana.
C'è passione ed emozione però quando dal sacchetto ancora fangoso custodito da Augusto, dopo che il buon Alessandro ha offerto al pubblico godimento la policroma pianta del tesoro di un finissimo scavo di Altopascio, di anni in cui molto di più ci si aspettava, molto di meno si aveva, emerge fangosa, carico della rossa argilla plastica dei suoli delle Cerbaie, la lacera scheggia che rivela, a rischio dell'asfissia per l'anziano archeologo curioso e frettoloso, la storia sul coccio, lo stemma altopascingo coniugato (è il caso di dirlo) a quello dei nobili che della dismessa sede dei ricchi Accattoni del Tau (come ci ha insegnato con alemanna freddezza Andreas Meyer) fecero la fattoria del Rinascimento tanto amato da Angli Franchi Teutoni, tanto doloroso per chi lo visse da contadino. La storia sui cocci, un barlume di solida cronologia per chi rifugge dalla passione, un segno di storie di nuovi percorsi, di nuovo prestigio da dare all'antica Istituzione. Prestigio di stemmi, prestigio di Loghi: il Rinascimento di provincia, il Fasto (con quanta Ragione?) dei giorni che viviamo, si sposano in una sera del primo autunno, anche nella tenue luce che non disturba il Sonno dell'Arringatore.