venerdì 11 dicembre 2009
Le virtù delle castellane, le virtù delle archeologhe/ceramologhe (chiudendo con Camporgiano)
Molta ammirazione, un pizzico di invidia (pepe del progresso o sentimento dell'esclusione) per lo snello libro di Graziella (Berti) e Marcella (Giorgio), ospitato da Marco (Milanese), ricco di colori, di tabelle, in sede prestigiosa. I colori dell'estate dell'82, quando folleggiava Paolo Rossi e l'Italia con lui, e il giovane ispettore (allora sì) si immergeva in dispute sanguigne con il geometra comunale per velare di strati i muri che egli stava svelando con la gioia di ridare luce alle mura sepolte. E fra gli strati i cocci che ora han preso colore e numero, e raccontano, in geometrie cartesiane, la storia di un vasaio di Lucca, venuto da Savona, i suoi tristi piatti per le mense dei poveri del 1650 o dintorni; mancano le attese maioliche bianche e blu, e l'archeologo direttore coordinatore, ormai vecchio, le vuol vedere nei fondi del palazzo. Ma questi rimarranno i suoi sogni di provincia, e solo dispiace che nel prezioso libro, fra molti colori (ma non esageriamo, i graffitisti lucchesi del Seicento si limitavano a due più il fondo ...), non ci siano i colori e i suoni di quell'estate, quando – come si direbbe con il gergo ministeriale – 'l'archeologia di tutela cominciava a dare prove di sé anche a Lucca'. Ma alle virtuose archeologhe-ceramologhe, intente a tracciar le curve in cui s'adagia il rapporto fra altezza, diametro alla base, fratto due e moltiplicato per il coefficiente di inclinazione della tesa con il cavetto, questo non interessa. E neppure alla scienza accademica (forse?).
E allora l'oggi archeologo direttore coordinatore si consola con le graffite ferraresi che il compagno di tante avventure salvò in anni giovanili, con scelti compagni nella remota Garfagnana (King Arthur anche lui, e per questo tanto simpatico), e ancora cura e vezzeggia come si fa con i figli ... Avvezzo più alle ceramiche attiche e agli insegnamenti dei maestri di gioventù, attenti a tocchi di pennello, a curve di clavicole, a narrazioni di storie e fluire di iconografie, l'archeologo di provincia si esalta con le virtù delle castellane di Camporgiano, che nella rocca ferrigna di Garfagnana si (rap)presentano con le storie d'amore che con fresca grazia emiliana raccontava il buon Ferrari, e che sopravvivono anche alle classificazioni dei professori giunti dal Tirreno sull'Adriatico, e dei loro seguaci. La dama che guarda l'unicorno, il liocorno segno di virginea purezza ... una scheggia di Schifanoia finita a dar colore alla rocca voluta da Borso d'Este. Anche i colori della graffita di Ferrara, alla fin fine sono un paio, ma se li si legge con attenzione divengono infiniti.
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