domenica 22 novembre 2009

Confezionando tavole, le Madonne di Pietro da Talada, le belle donne di Ferrara (o Modena)






Non erano come quelle di Francesco del Cossa le Madonne del pittore delle montagne, il Pietro dei colori resuscitato dal Quattrocento garfagnino quando il Maestro di Borsigliana trovò nome e respiro, e la grazia rustica e lieve delle sue Madonne, la freschezza dei suoi Bambini e dei loro alfabetari, il goticheggiare dei suoi santi proposero il fascino di una marginalità che traduceva per la società di montagna del Quattrocento i linguaggi nuovi nelle vecchie formule; o innovava le vecchie formule con i nuovi linguaggi. Artista e committenza, modelli che si impongono e tradizioni che devono essere rispettate: come ben sa l'archeologo, temi che nelle 'età di transizione' (e tutte le età sono di transizione) divengono particolarmente interessanti. Ma mentre confeziona tavole a colori destinate a finire in bianco e nero in una sobria pubblicazione che nessuno leggerà, l'archeologo maturo che distilla il pensiero dell'archeologo di montagna si deve domandare se i maestri lombardi che tiravan su alla maniera dei padri loro la rocca di Camporgiano non si ponevano nei confronti delle lezioni del Martini e della Romagna come Pietro da Talada verso i maestri di Ferrara e di Firenze. E se i castellani di Camporgiano, e le lor dame, mentre leggevano le ultime canzoni di gesta e se ne facevano approntar di nuove non cercavano di rammentare le immagini di Schifanoia con i piatti di graffita: dame e coniglie e unicorni, pillole di un mondo di cortesia muliebre che nella rocca di (mezza) fa da spechio agli spazi ampi degli affreschi del palazzo. E sugli uni e sulle altre i rustici a far da sfondo a corteggi e giostre, alle guerre feroci in cui i villici ancora non avevano appreso dagli Svizzeri la forza della democrazie e delle picche solidali.

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