sabato 24 ottobre 2009

«King Arthur» a Capraia (Isola)




«King Arthur»: la solitudine del guerriero, tra fedeltà al capo e al corpo, e senso dell'inutilità del lavoro; aristocrazie incapaci di capire gli eventi; un clero che si celebra nel luccichio dei mosaici e nell'esaltazione degli spazi absidali ... e masse che appaiono sbiadite, vittime destinate tuttavia a sopravvivere ai loro carnefici. Gli scenari tardoantichi vivono anche negli accumuli di cocci in capanne tracciate da tre buche di palo, oltre che nelle pagine della Patrologia, e in testi perduti in edizioni arcaciche, che ora Google ci fa leggere con tre tocchi di mouse.
Qualche volta capita che testi e testimonianze dalla terra si intreccino, si esaltino, esaltino l'archeologo, finalmente fortunato tanto da poter tentare il romanzo storico. E certo la storia del Franco (o Alamanno: con buona pace di von Rummel, che tedeschizza i Romani) morto a Capraia, sepolto con la sua spatha e le cinture, indurrebbe al romanzo storico, fra le battaglie navali di Idazio, i torbidi romani di Giovanni di Antiochia, la soldatesca al servizio (talvolta davvero devoto) di imperatori conosciuti soprattutto nei solidi dello stipendio.
A Capraia questo accadde, venti o quasi anni fa, ed ora rivivere antiche emozioni, ala luce dei nuovi eventi, è suggestivo.



Dagli Atti per Livorno, appena spediti:

La tomba del miles di Capraia, e le rotte del Tirreno settentrionale intorno al 450 d.C.

Capraia svolge un ruolo cruciale nella spedizione ‘africana’ del 397: i monaci imbarcati a Capraia nel viaggio verso l’Africa iniziato dai navalia di Pisa sono sì ignorati da Claudiano – pur così efficace nel magnificare i preparativi della spedizione e nel proporci forse la più puntuale descrizione della rotta dall’Etruria settentrionale all’Africa, puntando sulla Corsica e seguendo poi le coste della Sardegna – ma assurgono nella narrazione di Orosio a protagonisti del successo ‘lealista’ su Gildone: «igitur Mascezel, iam inde a Theodosio sciens, quantum in rebus desperatissimis oratio hominis per fidem Christi a clementia Dei impetraret, Caprariam insulam adiit, unde secum sanctos seruos Dei aliquot permotos precibus suis sumpsit: cum his orationibus ieiuniis psalmis dies noctesque continuans sine bello uictoriam meruit ac sine caede uindictam».
È possibile che il crocevia delle rotte del Tirreno settentrionale segnato da Capraia sia stato frequentato anche nei tormentati eventi dell’ascesa al trono imperiale di Avito, e del suo precario regno, fra 455 e 456. L’arrivo a Roma dell’eterogenea armata raccolta da Avito in Gallia, con quel che restava dell’esercito imperiale e foederati germani, se gli dava la possibilità – grazie anche al sostegno di Costantinopoli, assicurato dal tempestivo riconoscimento da parte di Marciano – di chiedere risolutamente a Genserico il rispetto del trattato del 442 (peraltro senza successo), prospettava alla capitale, attanagliata dalle difficoltà dell’approvvigionamento alimentare, i seri problemi affrontati con le soluzioni radicali ricordate da Giovanni di Antiochia.
È in questi frangenti che le acque del Tirreno settentrionale tornano a conoscere, dopo secoli e secoli, una ‘battaglia navale’ che ricorda, per connotazioni strategiche, quella di Alalia.
Idazio Lemico (Continuatio Chronicorum, II, 2) è un asciutto cronista dell’evento: «Hisdem diebus Rechimeris comitis circumventione, magna multitudo Wandalorum, quae se de Carthagine cum LX navibus ad Gallias vel ad Italiam moverat, regi Theudorico nuntiatur occisa per Avitum. Hesychius tribunus legatus ad Theudoricum cum sacris muneribus missus ad Gallaeciam venit, nuntians ei id quod supra, in Corsica caesam multitudinem Wandalorum, et Avitum de Italia ad Gallias Arelate successisse».
Il successo di Ricimero sulla flotta di sessanta navi partite dall’Africa vandala per saccheggiare le province imperiali (Gallia o Italia), seguendo il ‘ponte’ proposto da Sardegna e Corsica, avviene dunque – nella primavera del 456 – intercettando la spedizione ‘africana’ nella acque della Corsica, punto di partenza ideale per nuove incursioni.
Nel 1988 l’architetto Boccanera, ispettore onorario per Capraia, riuscì a recuperare un complesso tombale che si è tentato di collegare a questi eventi. L’inumazione emersa da lavori pubblici in Via dell’Assunzione a Capraia Porto, nell’area dell’insediamento d’età imperiale oggetto di un’efficace serie di saggi diagnostici (fig. 1, B), è ben datata nei decenni centrali del V secolo d.C. dalla suppellettile che accompagnò il defunto nella sua ultima dimora: le fibbie policrome ‘con alta placca rettangolare’, delle cinture di sospensione della spatha e del coltello (fig. 2), e la stessa spatha, attribuibile – grazie in particolare alla placca di rivestimento del fodero (fig. 3) – alle manifatture imperiali attive nella Gallia settentrionale .
La rilettura del complesso condotta recentemente da von Rummel , fondata solo sulla sintesi del ritrovamento presentata in Archeologia Medievale del 1992 , convalida sostanzialmente la proposta di datazione, seppur spostandola genericamente alla seconda metà del secolo; aggiunge poi valutazioni che, recependo (senza peraltro citarle) annotazioni già sviluppate sui centri manifatturieri delle dotazioni del defunto, propongono una non necessaria ‘banalizzazione’ del dato di Capraia, che per essere compiutamente funzionale alla sua tesi finesce per elidere lo scenario in cui la Capraia del V secolo d.C. si poneva. Si era già ampiamente osservato , in effetti, che tanto le fibbie quanto le armi sono prodotti delle fabricae imperiali, plausibilmente della Gallia, ma è altrettanto evidente che l’uso di dotare il defunto della suppellettile bellica non è affatto pratica comune dell’Italia del V secolo, anzi, è caso del tutto eccezionale, rispetto alla fitta serie di deposizioni di ‘militari’ di questi anni, attestata dalle iscrizioni funerarie. Per rimanere in ambito regionale, sarà sufficiente ricordare i sepolcreti di Firenze-Santa Felicita e Arezzo-Duomo Vecchio, caratterizzati da una cospicua serie di deposizioni di militari.
Continua dunque a sembrare ragionevole che il militare dell’esercito imperiale morto nel 450 d.C. o poco dopo a Capraia avesse conservato nella tomba i costumi funerari ‘nazionali’, franchi o alamanni: Francus ego cives Romanus miles in armis, come precisa un’iscrizione di Aquincum (CIL III, 3576). D’altronde è difficile pensare che nelle truppe di Ricimero spesseggiassero Romani, e che questi fossero pronti ad emulare non solo l’habitus barbarus del vestire (ipotesi plausibile per l’alto ufficiale del ‘dittico di Stilicone’), ma anche del costume funebre.
Queste valutazioni, tuttavia, poco aggiungono al ruolo di Capraia nelle rotte del Tirreno settentrionale che comunque risalta dalla presenza di un militare (forse non di rango subalterno), sia questi caduto nella battaglia navale della primavera del 456, o appartenesse ad un distaccamento dell’esercito imperiale, collocato su una ‘sentinella’ delle rotte tirreniche alla quale la presenza dei monaci conferiva uno speciale rilievo.
La vitalità della via di mare dalle coste del Tirreno settentrionale all’Africa, passando per Corsica e Sardegna, riferita da Claudiano, negli anni delle incursioni vandaliche in Italia ha trovato un ulteriore indice nel ripostiglio di minimi enei dalla foce dell’Osa (Orbetello), oggetto di una recente edizione . La presenza di una moneta ‘protovandala’, e le stringenti analogie del complesso con altri coevi dell’Africa settentrionale, attestano anche archeologicamente la continuità dei rapporti fra l’Italia tirrenica e l’Africa, verosimilmente lungo la rotta che, integrando la narrazione di Orosio con quella di Claudiano, risalta dagli eventi del 397, fino alla metà del secolo e alla crisi che comunque dovette seguire gli eventi del 455, con il ridimensionamento dei traffici fra le coste dell’Etruria e l’Africa che emerge dal dato archeologico, e la trasformazione del sistema di insediamenti – con la formazione di insediamenti su alture protette a tutela degli approdi – che è stato da tempo descritto nell’ager Cosanus.

Bibliografia

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Roberto U. 2005, Ioannis Antiocheni Fragmenta Ex Historia Chronica, Berlin.
von Rummel Ph. 2007, Habitus barbarus. Kleidung und Repräsentation spätantiker Eliten im 4. und 5. Jahrhundert, Ergänzungsbände zum Reallexikon der Germanischen Altertumskunde, 55, Berlin-New York.

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