giovedì 17 settembre 2009
Ritorno a Corazzano
Trent'anni e cento viaggi su per l'Egola, fra paesaggi che riappaiono appena appena arricchiti di villette a schiera e agriturismi, mentre i pioppeti cedono agli anni, e l'argilla azzurra fa capolino in zolle dilavate. È più limpida l'aria della Pieve di Corazzano dacché la fragilità delle strutture moderne ne ha svelato il fianco nascosto, identico all'altro, ma più inquietante nella storia delle due o tre fasi che fa trapelare, nei nitidi ricorsi di laterizi nobilitati da paraste poi trascurate. Ma l'archeologo non ritorna al monumento romanico solo per riviverne il fascino solitario su una via che già fu per Roma, nel secolo dei re d'Italia e degli imperatori di Sassonia, poi eclissata, appena a qualche miglio, dalla mitica (fin troppo celebrata) via Francigena ... sono i segni del passato che qualcuno ha posto in facciata, il frammento della dedica dei Venulei alla Dea Bona – la prima scoperta del giovane archeologo, quando il Sessantotto non era un mito ma l'incubo della notte prima, e già si capiva che i figli del Sessantotto avrebbero occupato le cattedre dei padri appena uccisi – e il frammentario cassettone. Si ritorna, si ritorna, quasi che si sperasse di poter finalmente capire il magico senso di quei due frammenti del passato che dialogano fra loro, in un'arcaica lingua latina che ogni volta si crede di aver capito, e non si capisce: il latino del Medioevo, il latino dei parroci di campagna dell'Età Moderna, il molle latino dei senatori pisani, poco avvezzi alle fatiche di guerra sul Danubio, più attenti ai collegi sacerdotali della Capitale. Il rosso del mattone, il bianco del marmo: colori intensi e banali, con l'azzurro del cielo sulla Valdegola, che rassicurano anche quando il mistero rimane ... in attesa dell'illuminazione della prossima volta, la centounesima.
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