giovedì 18 giugno 2009

Vino etrusco per l'ardente estate


I roventi giorni del solstizio evocano versi di Alceo; e le assolate terre dell'Etruria che vedono succedere il gonfiarsi dei grappoli alla pienezza delle spighe. Terre opulente, oggetto di desideri che i biondi campi di Maremma di questi giorni giustificano assai più del ferro elbano vezzeggiato dagli etruscologi e bramato dai loro coccolati Siracusani ... uomini e terre, la fonte della sontuosità dei principi, dell'orgoglio delle nuove aristocrazie del VI secolo, del decoro dei ceti 'oplitici' di qualche decennio dopo. Un popolo vitale, come volevano i viaggiatori inglesi dell'Ottocento, non un formichesco produttore di sequenze di ceramica etrusco-corinzia con tutti i suoi ghirigori, o di arzigogolate tipologie di kantharoi di bucchero.
E anche di anfore, per aggiungere al dono di Vei/Demetra/Cerere il dono dei dio del vino, che degli Etruschi faceva, per i Greci invidiosi (la 'sporca' propaganda della concorrenza), delfini. Il popolo dei delfini, il popolo che dalla terra passa al mare. E poi torna alla terra, alla sicurezza delle rendite agrarie, come i Pisani del Trecento o i Veneziani del Settecento, al momento del crepuscolo.
Se l'archeologia è scienza della vita, e non della morte, se gli Etruschi non solo morivano per erigere belle tombe piene di bella oggettistica, o santuari nei quali sfogare la loro iper-religiosità, ma anche vivevano, in capanne, case, ville, troppo faticose da scavare e sceverare in sequenze di strati e strutture, inopportune nelle sedi ufficiali, infelici per un concorso accademico, allora è il caso di celebrare i giorni delle mietitura con un'anfora del vino dell'anno prima, la guizzante anfora etrusca di Orbetello, prodotta per il mare. Sono (più o meno) gli anni di Alceo ... agli Etruschi non dispiaceva il vino di Lesbo, forse ai Lesbi non sarebbe dispiaciuto il vino dell'Albegna. Ricordiamolo, senza lasciarsi frastornare dai fratelli Py, benemeriti catalogatori di una classe dimenticata; ma davanti all'anfora etrusca non pensiamo solo alle Py 1,2,3,4,5, ma alla storia che ci raccontano.

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