martedì 23 giugno 2009

San Martino di Palaia, le piante di fase e la fede

Nuvole all'orizzonte rendono affascinanti i giorni del solstizio del 2009. A Palaia, sospesa nel cielo e sulla collina, la pieve di san Martino ha visto la fine dell'ennesimo restauro, ed è in attesa del prossimo: eretta a dimostrazione della forza di un Comune (direbbe il laico archeologo), aperta sulla strada più importante, legame tra la forte comunità palaiese e i castelli minori, forse luogo di commerci e di fiere ... voluta per questo forzando la natura, su un sottile crinale livellato in anni e anni di fatiche, con mura erette attingendo a tutti i materiali disponibili. È questa la storia del saggio di Silvia, storie del Basso Medioevo raccontate da tombe di bambini e da un frammento di maiolica arcaica. E quindi restauri infiniti, rifacimenti, fatiche, per una comunità sempre meno esuberante, su una via sempre meno importante, fino al rinnovamento neo-romanico, che rende la chiesa tanto bella perché è esattamente come si vorrebbe un (tardo)romanico delle colline fra Era e Egola, dove il mattone si sposa alla pietra.
Discorsi di vescovi e sindaci, discorsi di presidenti vari. E poi parla il parroco: l'entusiasmo per l'impresa compiuta in pochi anni, con tante forze suscitate, è un inno alla Provvidenza. Poco interessa il nuovo ruolo del monumento, portale turistico nella valle che fu dei castelli, poi dei mezzadri, e ora è degli agriturismi; e poco importa del motivo per cui i Palaiesi del Duecento e del Trecento tanto vollero quel monumento al loro Comune: la Provvidenza, la Provvidenza ha guidato la nuova vita della Pieve. Il laico archeologo pensa piuttosto alla sapiente combinazione di Fondazioni e Fondi, di impegno e di architetti, e pensa anche che il crinale fragile prima o poi porterà via il San Martino. Ma la Provvidenza, la croce sospesa sull'abside sospesa sul crinale sospeso sotto il cielo, fa degli uomini che innalzano e vivono i monumenti qualcosa di più di ciò che teorizza il laico archeologo.

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