martedì 5 novembre 2024

Le croci di Gunduald

 

... tu in ipsam rem croces aureas desuper altario ipsius ecclesiae in pretio dedisti ad ipsi homenis...

Non aveva preso le croci dall'altare Guanduald, attivissimo longobardo di Garfagnana, disputa dell'anno 764, quando regnava Desiderio con il figlio Adelchi; o, per lo meno, non c'erano testimoni, e Lucipert ne uscì come calunniatore.

Le croci d'oro sull'altare della chiesa, immaginate come le crocette delle tombe dei Longobardi, una, tre, cinque.

O piuttosto i dischi crucigeri su alto stelo e peducci, come i candelabri, del mitico rilievo del magister Ursus, un enigma per ogni immagine, certo, ma anche proiezione dell'altare e delle croci sfavillanti d'oro che vi venivano collocati. Sì, ha poco senso mettere le sottili croci sul piano dell'altare, chi le vede?, molto innalzarle con le geometrie incise o sbalzate. Degne anche del valore di venti solidi che sembra di intuire dal prezzo del fondo acquistato da Gunduald, di certo per arrivare a venti solidi occorrevano un bel po' di crocette, un tanto al peso. Un po' troppe ...

E all'amico di Garfagnana che con tanta passione e scienza ricerca i segni dei Longobardi della sua terra, un'immagine che può proiettare fra Pieve Fosciana e Campori.

Ah, e che sia una proiezione dell'altare proclamano anche i due personaggi, difficile non riconoscervi un  'sacrificio di Isacco', con quell'aggeggio brandito dal possibile Abramo che pare proprio un coltello ...

domenica 27 ottobre 2024

Le Ninfe del Fiume Freddo


 Lunghi i giorni in ospedale, attesa del peggio, per essere preparati ... e in effetti, sì, non sempre può andar bene.

E nelle notti dai sonni spezzati e poi ripresi, cosa di meglio che andare agli ultimi giorni sereni, d'agosto, quelli sul fiume che giunge a Roma, e all'improvviso, dalla memoria del telefonino, solo legame con l'oltre le pareti, si manifesta l'immagine della pagina del Minto che rammenta la perduta iscrizione di Colledestro, sul fiume che giunge a Roma, Pieve Santo Stefano, le rupi del Fumaiolo, aria fresca quando tutto si attribuiva al caldo. E invece no, era il male che stava sprecando il sangue.

Anni e anni, dacché l'architetto Andrea, amico di amici e amiche, Andrea Gori, la mostrò. Troppo facilmente liquidata come «boh!», ora che le notti sono disponibili alla fuga, e il telefonino ti dà cose inattese, beh, dopo il boh! si può ripensare.

E certo l'erudito valtiberino del Seicento poteva sapere che il prenome dei Sulpici è spesso Ser(vius, o che altro)? E perché avrebbe dovuto fingere che Cellina era un nome di schiava singolare, e non piuttosto Marcellina?

Ma sì, ha ragione Andrea, architetto Gori, l'iscrizione è buonissima, se non ottima, una dedica al Fiume dell'Urbe e alle sue Ninfe, di un liberto di un Ser. Sulpicius, e della coniuge. Il resto non si sa.

E forse l'erudito non sapeva che Sulpicia, che negli anni di Augusto cantò i suoi torridi amori e paventava il fiume freddo nella campagna di Arezzo, proprio qui, dove il Tevere è freddo e la terra era di Arretium, che come scrisse Plinio, vedeva nascere il fiume sacro, non voleva andare, lontana da Roma e dal suo amore.

Non se lo può essere inventato, no ...

E si cerca di nuovo di dormire, seguendo le danze delle Ninfe del Tevere intorno al padre barbuto, recumbente, con vaso da cui nasce il fiume.

Come qui, ai piedi delle fresche rupi del Fumaiolo.

martedì 27 agosto 2024

Ritorno a Sigliano









 Forse un po' per caso, certo per coincidenze, si arriva al neo-bizantino di Sigliano, dove il Tevere oggi si ferma un po' a Montedoglio.

E nella scalinata si ritrovano storie di quarant'anni fa, la consunta ara del liberto del console di Roma, giunta chissaccome in queste terre. Certo con un viaggio non dissimile da quello del trapezoforo di Grata, sia reimpiego, siano liberti di senatori vicini di casa di Plinio il Giovane.

Le emozioni di Grata, quaranta anni fa e più, il disegno del Borghini, le storie dei Caesii ... gli enigmi restano, per cogliere il fascino dell'altare consunto.

domenica 21 luglio 2024

Salutare Enrico, dopo aver salutato la Valdera


 

Ritornano all'improvviso gli ardenti giorni della Pievaccia di Chianni, vent'anni e più, quando le vie di Facebook da un archeologo che ora fa altre cose, Federico Montagnani, ti fanno sapere che Enrico Lupi non c'è più.

Perse le vie di Valdera da dieci anni, ma non il ricordo di quelle pietre che disegnavano muri ed enigmi sulla collina arsa, immersa nel sole e nel cielo, che poi Federico ha onorato assai meglio, assai di più.

E poi molti progetti e molti sogni, ma le giornate di Peccioli a scoprire la Valdera romana, con la passione degli amici di Tectiana, con la sete di conoscere di chi tornava a quelle terre tanti anni dopo ...

Il sole di Valdera, in questi giorni assolati, ed Enrico non c'è più. 


giovedì 6 giugno 2024

Il segno dell'Amore





Perdendosi nella rete, dietro una ghirlanda da esibire in mano – Handgirlande, dicono i dotti tedescofoni – può anche capitare di ritrovarsi sulle sponde dell'Atlantico, terra di pesce lavorato, Lixus, ma anche di mirabilia finite un po' a Tetouan ...

Esaltazione fantastica del potere d'Amore, e del suo segno, il mosaico che dicesi di Adonis, un po' spaurito lui, ma festosi gli Amorini ghirlandofori. E travolta d'Amore lei, Venere. Saranno stati i padroni di casa, chi lo sa ...

Il segno d'Amore, anche nel secolo III, così severo nella narrazione. Ghirlande fiori fiori e ghirlande. Un tripudio. L'altra faccia delle guerre del sarcofago Ludovisi e di altri infiniti.

E subito riaffiora dai ricordi il sarcofago che prima che del vescovo di Firenze, Giovanni da Velletri, era stato di una produttrice di corone. Coronari, singolarmente presenti nell'Etruria bagnata dall'Arno, il misterioso sarcofago di piombo di Remmia Primigenia, a Firenze, il cippo ritagliato di Apisius, un'illuminazione di quasi cinquant'anni fa, a Pisa.

Ma di certo viene da Roma il sarcofago della coronaria che un po' si perde nel battistero di Firenze, l'imprenditrice e il suo mercato, si direbbe oggi, se al sarcofago si affianca il mosaico.

E per l'uso, nel secolo delle guerre civili e delle invasioni, basta andare appena un po' in là, a Bacucco di Viterbo, nelle terme volute dal gentiluomo d'età severiana emigrato in Francia, con la moglie che amava riamato, e la ghirlanda in mano, un po' strana, a dire il vero, lo dichiara.

E non fermarsi alle fonti del Bacucco, negli anni di Alessandro Severo, ma ancora volare sulla rete, arrivare a Nicopoli d'Epiro, la lucerna ateniese o corinzia di Sponsianos, Broneer XXVII per l'amore intimo che sa delle narrazioni di Apuleio, anche se un po' dopo, ma le matrici delle lucerne durano e si rigenerano.

Lui con la ghirlanda, un po' insolito, e lei che s'assicura alla maniglia e tanto ricorda l'efebo della coppa Warren... Chi l'ha fatta aveva visto i symplegmata che avevano ispirato i produttori di lucerne di Grecia? O viceversa?

Storie d'Amore in tempi di guerre. Più fiori e meno spathae (perché già stava diventando l'età della spatha).

sabato 11 maggio 2024

Biografie fantastiche di Longobardi. Gulfari dall'Istria a Lucca



Volendo, può essere lettura amena la Prosopographia of the Late Roman Empire del professor Martindale, volume III, gli anni estremi. Colpi di scena, imperatori e duces, funzionari, nobildonne e truci barbari, ognuno con  la sua schedina, bibliografia irreprensibile ...

E girovagandovi, si ritrova la schedina del signor Gulfaris, magister militum in Istria nell'anno 599, pronto a soddisfare le esigenze del grande papa nella repressione degli scismatici, eppure doveva averne da fare, fra Longobardi Avari Slavi ecc. ecc.

Chissà, scrive Martindale ed è convincente, forse è lo stesso che facendosi chiamare da Paolo Diacono Vlfari, qualche anno prima era dux a Treviso, ed ebbe qualche problema con il re Agilulfo.

Un bel romanzetto, trama da opera del Settecento, il dux ribelle, che passa con la sua masnada dalla prigionia di Agilulfo, dopo essere stato debellato, all'imperatore, e se ne va in Istria. Con l'oro si poteva tutto, in quei tempi (e non solo). Tanti, o tutti, andavano dove l'oro era più sonante. Con la faccia dell'imperatore fresca di conio imperiale, o con un ghirigoro per faccia e arcangelo. Buoni i tremissi dell'uno e dell'altro tipo. Forse meglio i solidi, di certo.

Ma all'archeologo pensionato viene un po' di amarezza. Ma come non averci pensato trenta e più anni fa, certo Martindale ancora non c'era, immaginando la storia di Faolfo e del suo anello ... Gulfari, con la sua gente nel vicus vicino Lucca, a Spardacho o Valle Buia, presidio della via che porta verso la Langobardia del Po. Una sculca, alla tardoromana, come il vico Schulcamo lì vicino. Un bel gruppetto, Faolfo e Wallari e Asulfo fra Valdarno e Valdera, Alahis e Gulfari intorno alla città, e in Versilia Uffo e Aghinulfo. E qualcuno si muove, Faolfo dalla Valdera a Chiusi, con il suo bell'anello, Gulfari a Treviso e poi in Istria. Sodali delle rapine di Gummarit, e poi ognuno per la sua strada.

Un po' fantastico, ma se ne leggono anche di più fantasiose. A dire il vero, Gulfaris è assai raro, scrive la Nicoletta Onesti, in Francovich, come rammentava fino all'ultimo, e quindi potrebbe essere.

E della sua gente poteva essere forse il guerriero ritrovato nella campagna lucchese, anno 1808, spatha coltello, e crocette d'oro. Gli anni sono quelli.

E se fosse lui, con i primi predatori longobardi di Toscana, anni 570 o poco dopo, dice Agnello da Ravenna, e poi fermato con la sua masnada nelle campagne risanate da Frediano, poco prima...

Gran carriera, dal presidio lucchese a dux di Treviso, ma evidentemente non gli bastava. O così sospettava Agilulfo: L'imperatore era più generoso, e meno sospettoso. Forse.

giovedì 2 maggio 2024

Torrioni del Quattrocento fra monti e mari. Dalla Garfagnana alla Dalmazia.




 Erano aggiornatissimi i capimastri e gli architetti della Repubblica che progettarono e fecero le torri di Castiglione di Garfagnana, fine del Quattrocento, studi condivisi con amici negli estremi anni di Soprintendenza, Paolo sempre, e Silvio, e Andrea.

Si sapeva, si sapeva, ma arrivando a Ragusa di Dalmazia sulla nave veneziana del cavaliere tedesco, Konrad von Grünenberg, così propenso all'illustrazione di mura torri rocche porti fortificati, nel trionfo lento della Transizione, più o meno negli stessi anni, lo si apprezza ancora di più. E a colori, ringraziando la generosa Badische Landsbibliothek, un pdf non misero, e veloce.

Torri per fronteggiare Estensi, torri per Turchi e qualche altro, quanto basta per ricucire un attimo uno dei Sogni dell'Auser. Sì, Sogni, quasi là dove il fiume nasce ...

domenica 28 aprile 2024

Trilustro



Se non sono ancora fioriti, fioriranno tra poco i gigli d'acqua della Terra dell'Auser, segni di acque sepolte, figli di una primavera matura, così come i Segni dell'Auser.

Quindici anni tondi tondi dal primo foglio di un viaggio di sogni memorie progetti, ormai intrecciati e dissolti.

Molto hanno dato, moltissimo, per chi vuole conoscere storie sepolte. Molto entusiasmo, condiviso con rari amici.

La stanchezza, infine, è legittima, adeguata alla forza dei sogni.

Il taccuino dei sogni, però, deve rimanere aperto ...

martedì 26 marzo 2024

Uniti dalla G



Un bel disegno, grazie all'insigne opera di monsignor Raspini, di un'iscrizione vista sempre nel buio fiesolano, e di certo non poteva non essere nel giusto il mitico De Rossi. Non le tiritere dei dotti del Settecento, autentico falso semitarocco, ma una limpida epigrafe dei primi del V secolo, o giù di lì, quando la città sul fiume conosceva il fulgore dei mosaici di Santa Reparata e Ambrogio era di casa, E anche Stilicone, e i mercanti di Siria ... E in alto boh, era luogo da battaglie.

E tutto torna, sistema grafico, cursus ecclesiastico, prosa ritmata e quella aeclesia che è spia ineludibile. Sì, primi del V secolo, o un po' prima ...

Messius Romulus, il lector che fece carriera e divenne anche santo, anche se su questo l'iscrizione della cattedrale fiesolana è liscia, con la sua bella formula onomastica bimembre non poteva che essere amico dei defunti di Santa Felicita, e d'altre chiese della ritrovata città sull'Arno.

E la G con quel bel baffo, un po' onciale e un po' decorativo, l'annoda alle iscrizioni di Santa Felicita ancor di più, il lector fiesolano e il militare del corpo scelto, schola gentilium, con il suo nome celtico, forse davvero irlandese come il compagno di San Patrizio, Segetius.

Chi lo sa.

Quanto basta per perdersi in una G, nelle chiese di Florentia.



 

giovedì 1 febbraio 2024

Ritorno alla Città di San Frediano, passando per l'Arcipelago dei Melograni










Qualsiasi occasione è buona, ancorché negata o sottaciuta, per ritornare alla Città di San Frediano, ora che se ne è visto il seguito con Gastaldo e Marmorari ...

Sì, è innegabile, è così, e le melagrane palesi o sottese nella Hestia Polyolbos di Dumbarton Oaks, laica Madonna della Melagrana, o viceversa, celata Madonna, sono un pretesto, per volare rapidi, come la rete consente, dall'Egitto cristiano con nostalgia del passato, o viceversa, all'Egitto dei monaci di Kellia, la croce che genera melagrane, e seguire le coste del Mediterraneo, sulle orme degli eserciti di Giustiniano, Belisario il liberatore dalla follia cupa dei re vandali, e venire a Sufeitula, Sbeitla, fascino esotico di Roma con luci e sapori del deserto ... melograni che sanno incorniciare altri alberi e soprattutto l'albero che dà la Vera Vita, la Croce ...

E via, da Sbeitla a Nola, la croce da completare con colori di gemme a piacere, per i colori del melograno bastano quelli di Sufetula. E prima di passare dal genio che fece le fiorite croci dei timpani del Clitunno, generatrici di uva e melagrane, la croce dei Santi Giovanni e Paolo di Roma, isola felice di storia, centrale e appartata. Si ricordava di Sufetula e di Nola, il marmorario che la fece, ma forse chilosa le gemme erano passate di moda, solo metallo.

Ci siamo quasi, cosa manca per arrivare alla Città di San Frediano? I melograni, da immaginare di fantasia, per perdersi nella perduta Croce di San Frediano, con le gemme di Sufetula e di Nola, e infine ad Aquilea, sorella delle croci di Ravenna e un po' anche di Roma. Croce metallica.

Viaggi comodi, per non pensare ad altro, ora che anche quest'anno il ciliegio giapponese pullula di colori.



sabato 20 gennaio 2024

Autoritrovamenti. Riapparire da Corte dell'Angelo, Lucca, un giorno della fine dell''83, come ICCD12359109.


 Non si era dimenticato, no davvero, il piccolo enigma che ti segue da quarant'anni e qualche mese, ma vederlo riapparire, dai cupi flutti di SigecWeb, fa un effetto singolare. ICCD12359109 dice la formula magica, e ci si arriva nonsisacome. Per caso, essenzialmente. Anche il link non è copiabile, ma il vecchio Archeologo&Pensionato è fuori dal mondo, da questo mondo, si sa. SigecWeb, un numerino, e zacchete, ti riappare e per di più a colori il pezzo che hai trovato tu, quando eri giovane e ogni mattina attraversavi la città, Lucca nel freddo del tardo '83, e poi per pranzo il Risogalo portato da Castelfranco, comprato dalla mamma. Non c'è più, lei, il Risogalo si trova, ed ha il sapore di quegli anni. Ti ricorda anche lei. Non si riesce a scucchiaiarlo senza pensare a quei giorni, alle panchine sulle mura, a chi non c'è più.

Quante attese in Corte dell'Angelo, il fuoco della sete di conoscere la perduta città dei secoli centrali del Medioevo per riscaldare l'umida cantina, e quell'accumulo di calici del Rinascimento, una manciata di terra tanti vetri e un paio di boccali, la suppellettile da tavola del tardo Rinascimento a Lucca, con Daniela e Graziella, lei non c'è più e Daniela chissà dove, e strati e strati di terre nere con ceramiche decifrate dopo qualche anno, ahinoi niente del secolo VII o VIII, puro XI, e forse anche un po' dopo. Muri limpidi di ciottoli. Ma andava bene anche così. Non c'era da dimostrare nulla, solo la voglia di capire. Di conoscere.

E quel frammento segnato da linee incise, che si volle interpretare in una scheda dimenticata. Tante altre cose viste, ma non si potrebbe far di meglio, anche se il dubbio è forte.

Ma questo almeno si può, ricongiungere la scheda alla memoria e alla magica sigla, e rivedere a colori il pilastrino finito a pavimentare una cantina di Corte dell'Angelo, estratto in un giorno del tardo autunno (o dell'inverno) del 1983.