giovedì 26 marzo 2020

La capanna dei pastori erranti dell'Asia. Per Augusto




Ne avremmo ragionato, Augusto, della capanna dei pastori dell'Asia, erranti, capanna di canne e giunchi, nell'avorio orientale finito per San Ludgero in Germania. Certo, ne vedemmo di capanne tardoantiche, per dare volume ai pali che avevi trovato, con i tuoi amici di trent'anni fa e più, sulle Cerbaie che guardano il lago che di tanto in tanto risorge, e i pastori vi menan le greggi. Corte Carletti, anno dimenticato, non dimenticati gli amici di quell'anno.
Una di più, di canne, di giunchi, smontabile, chissà, trovata per caso navigando senza meta e senza senso, in questi giorni di inaudite epidemie, nell'oceano della rete, da aggiungere alle discussioni senza fine.

martedì 17 marzo 2020

Per Augusto, nel silenzio del vento del Botronchio.



Una telefonata, un mattino di un giorno di epidemia, e Augusto Andreotti non c'è più. La sua ansia di conoscere, la sua capacità di scoprire e di dubitare, se ne sono andate. Una caduta, costole fratturate, i polmoni che cedono, due mesi e più di ospedale, e Augusto non c'è più.
Quasi quarant'anni di curiosità condivise, Orentano e il magico Botronchio, terra di vie etrusche e romane, di Ponte Gini, come si volle chiamare il luogo degli Etruschi, e poi Fossa Nera e Fossa Cinque e Fossa Due e Marti e Lucca ... e quante discussioni, spesso d'accordo, spesso no.
Maestro delle terre di Cerbaie e di padule, di erbe fiori piante etruschi romani gente di preistoria e dell'età del bronzo ... il nostro mondo era finito qualche anno fa, con i pali del ponte etrusco del Botronchio che avevamo immaginato e poi vedemmo e tu solo in immagine. Non le nostre scoperte, la bilancia di Banna, il piombo per il lykion ... ancora ieri.
Non avresti apprezzato un «Ciao, Augusto». Semplicemente, il silenzio, il silenzio del vento del Botronchio.

lunedì 9 marzo 2020

Girellando per Parlasci




Giorni di primavera che è profondo inverno, inverno delle attese, inverno di morbi. E l'inverno, si sa, è fatto per ritornare ai colori dell'autunno, così morbidi, pastosi ...
I parlasci della Tuscia, che furono anfiteatri dell'Etruria, e d'Italia, riappaiono sfogliando le carte dell'archivio che da quarant'anni ossessiona l'archeologo pensionato, amante certamente più degli inchiostri antichi che del pathos degli strati. Visti e rivisti, e per rispetto inane non sviscerati, ma ora si può, ora che è chiaro che il parlascio maggiore di Florentia è fratello quasi gemello di quello di Lucca, colonia ugualmente degna di doppio parlascio. Municipali ambitione, c'era qualche dubbio, allora, sul deambulatorio vagheggiato dal Corinti ma le carte del Fraschetti, che Elena e i suoi hanno delibato in dotto saggio, fanno luce. Più ancora, croccanti dei loro centrotrent'anni e più, gli involti dell'archivio.
Ed è lì, dove il cuneo s'affaccia sulla porticus (che sia quella di Aufidia, dubita l'archeologo epigrafista sbeffeggiato, altro che la dedica dell'Iseo ... quante sciocchezze, e il dubbio c'era), certezza che il Fraschetti aveva capito tutto. Colonnata prospettiva che s'apre sull'accesso, chissà. Ma aspettiamo che Elena signora di anfiteatri mantenga le promesse ... Parlasci gemelli, un po' maggiore quello di Florentia, e in proporzione. Ellissi sorelle, scansioni sorelle di cunei, un po' più fitti, ma appena, quelli della maggiore. L'architetto aveva venduto due volte il progetto, prima a Lucca, si direbbe, e poi ai Fiorentini, che per dispetto lo vollero un po' più grosso ... Municipali ambitione.
Nel frattempo, girelliamo intorno al parlascio, negli anni in cui più non vi si entrava, e tutt'intorno si correva, *perielasion, bel termine ellenico anche se un po' fantastico degli anni del Cristiano Impero.
Vestendosi dunque alla bizantina, con quella cintura dalla bella fibbia che tanto incuriosì il bravo Fraschetti, persa sulla via da qualche affaccendato brav'uomo del secolo VII.