martedì 16 maggio 2017

Elogi funebri (sotto forma di saluti agli epigrafisti dell'Etruria riuniti a convegno)


Quando chi scrive intervenne all’apertura del Convegno, il 23 ottobre 2015, per portare i saluti del Soprintendente, sintetizzare l’attività svolta negli ultimi decenni dall’istituzione che stava rappresentando, rassicurare sul futuro impegno per la tutela ma anche nel concorso alla valorizzazione del patrimonio epigrafico d’età romana della Toscana, certo non immaginava che di lì a poco la Soprintendenza da ultimo denominata Archeologia della Toscana sarebbe stata dissolta in quattro sezioni di altrettante istituzioni pluriprovinciali, preposte alla tutela ‘olistica’ – come dichiarano i fautori dell’innovazione - del patrimonio culturale, e che le parole da affidare alle pagine degli atti avrebbero dovuto prendere piuttosto i toni dell’epicedio.
Mentre si stendono queste righe, in effetti (fine febbraio 2016), si è in attesa della pubblicazione formale del decreto ministeriale che pone fine a più di un secolo di vita dell’istituzione che a Firenze aveva ereditato il ruolo degli antiquari granducali del Settecento e della prima metà dell’ottocento, e che grazie all’intimo, intrinseco rapporto fra museo e ‘attività di tutela’ aveva condotto, negli anni Venti del Novecento, all’akme della ‘valorizzazione’ del patrimonio epigrafico raccolto in età medicea e lorenese.
L’impegno profuso dal Soprintendente Antonio Minto per presentarlo nella Terrazza delle iscrizioni, appositamente realizzata sopra il lunghissimo corridoio che ospitava il Museo Topografico, apriva, negli articolati spazi del Museo Archeologico di Firenze, un dialogo a più voci fra la Terrazza stessa, il retrostante Corridoio, detto delle Anfore, ma che assieme a queste accoglieva anche urne etrusche e romane, il Giardino, in cui statue, rilievi, iscrizioni si alternavano con le ricostruite tombe etrusche.
Nei severi anni Settanta del Novecento la costruzione del Minto - come molto del suo pensiero - poteva apparire attardata in cifre antiquariali, ma consentiva almeno un’esauriente leggibilità di un patrimonio epigrafico che si apriva sul mondo romano dall’Urbe e dall’Etruria sino all’Africa e all’Oriente - con le iscrizioni greche - ed era specchio ancora efficace dalla vastità degli interessi collezionistici d’età granducale.
Il dramma dell’alluvione del novembre 1966 aveva reso critica la stabilità del complesso, e quando, per volontà ed impegno del Soprintendente Francesco Nicosia, si pose mano al drastico rinnovamento del Museo, la sorte del lapidario granducale, nella veste ‘tagliata’ dal Minto, era segnata. Nei progetti museali degli anni Ottanta, fortemente condizionati da una oggi svanita centralità dell’arche­ologia d’età etrusca, le collezioni epigrafiche d’età romana non erano certo al centro dell’interesse.
Tuttavia, il sacrificio della Terrazza e la trasformazione del Corridoio potevano avere una motivazione: con una tempestività che allora non era avvertita, ma oggi sembra irraggiungibile, già nel 1985 gli spazi dell’antico Topografico, esaltati dalla luce e dilatati nel progetto di Bruno Pacciani, erano agibili per la mostra centrale (Civiltà degli Etruschi) dell’Anno degli Etruschi, e all’inizio del decennio successivo (1993) vi si poteva progettare e infine allestire un percorso espositivo che preludeva, nell’intenzione di chi lo aveva allestito, alla palingenesi del Museo Topografico.
Effimere illusioni, se già nel 1997 lo si smantellava in attesa di nuovi e più strutturati progetti, ora affidati al Polo Museale della Toscana, nella cui compe­tenza i musei archeologici sono transitati o stanno transitando con il susseguirsi di rimodulazioni dell’organigramma ministeriale. Al Polo è deputata, di conseguenza, anche la responsabilità di restituire la luce al patrimonio epigrafico mediceo e d’età lorenese acquisito dal Museo Archeologico grazie al sogno di Antonio Minto, e confinato ai depositi, seppure dopo un’attenta opera di restauro e catalogazione, che ne ha reso possibile l’estesa presentazione nei Supplementa Italica. Imagines. Supplementi fotografici ai volumi italiani del CIL.
Isolate, seppure talora brillanti, erano le iniziative di valorizzazione del patrimonio epigrafico del museo fiorentino: si può segnalare l’esposizione degli Elogia Arretina, nel 2000, voluta dalla passione di Anna Rastrelli e della compianta Antonella Romualdi, che avrebbe dato prova del suo interesse per la componente epigrafica delle collezioni granducali nell’intensa attività di curatela delle ‘antichi­tà’ degli Uffizi.
Decisamente più sistematica la campagna di catalogazione del patrimonio epigrafico del territorio, fruttuosa soprattutto per le collezioni private fiorentine (ancora un progetto voluto e realizzato da Antonella Romualdi), e la puntuale attività di tutela formale delle iscrizioni emerse dal sottosuolo o, talora, da luoghi di conservazione rimasti inaccessibili. non solo per indulgenza autobiografica, si deve segnalare il caso del monumento funerario dei Titii fiorentini (CIL, XI 1614), riconosciuto nel 2005, dopo un più che secolare oblio, prontamente tutelato - e proposto all’attenzione degli studi.
Nel frattempo, tuttavia, con la capillare presenza sul territorio che ne ha caratterizzato costantemente l’attività - nonostante la ‘sede unica’ in Firenze - la Soprintendenza concorreva affinché i musei del territorio, rinnovati o ampliati fra gli anni novanta e i primi del millennio, dessero adeguato spazio al patrimonio epigrafico, non più nella forma di lapidario, ma come segmento dell’itinerario archeologico nella storia del territorio in età romana. Ne sono testimoni, ad esempio, il Museo Archeologico e d’Arte della Maremma, in Grosseto, con l’organica prseentazione dei complessi epigrafici della valle dell’Albegna, fra i quali spicca la Tabula Hebana, e di Roselle - questi contemporaneamente editi da Stefano Conti nei Supplementa Italica - o, in misura minore, la sezione archeologica del Museo nazionale di Villa Guinigi in Lucca.
Dalla catalogazione e dalla presenza sul territorio scaturisce il contributo che la Soprintendenza ha dato al progresso del progetto EdR, o a lavori monumentali come quello che hanno appena consegnato alle stampe Emanuela Paribeni e Simonetta Segenni sulle Notae lapicidinarum del territorio di Carrara, esempio eccellente del connubio fra ‘tutela’, ‘ricerca’, ‘valorizzazione’. Sono questi termini che oggi si vorrebbe scindere in competenze diverse, quando sembrano, piuttosto, solo definire momenti distinti del processo di conoscenza che nelle giornate del convegno fiorentino dell’ottobre 2015 si è manifestato in riflessioni sull’attività svolta e, come è nella natura della scienza, in spunti per nuove indagini.
La sostanziale estinzione di organici progetti di ricerca, quale quello dispiegato, non senza mende, ma proficuamente, a Roselle - per rimanere nella Toscana - compromette la disponibilità di nuovi materiali epigrafici, ma la crescente cono­scenza della rete di insediamenti e di traffici pone, a chi voglia indagare il mondo antico nella sua completezza (un’indagine ‘olistica’), nuove occasioni di rileggere iscrizioni note da secoli, come nelle giornate del Convegno si è dimostrato.

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