martedì 24 dicembre 2013

Il Guerriero della Palude, o la Palude del Guerriero (notizie dal Notiziario)




Un elmo, una storia dal Settecento rivissuta ai nostri giorni, una palude paludosa anche quando asciutta, una via interrotta dall'acqua, una stele di guerriero con elmo, per una notizia dal Notiziario.
E il Guerriero della Palude diviene la Palude del Guerriero, storia etrusca intorno al 450 a.C. (ma anche un po' prima, o un po' dopo).
Notizie dal Notiziario SBAT, anno 2012 (e son quasi duemilacinquecento).


«Il ritrovamento, per quanto portano gl’atti del processi in questa causa fabbricati, è stato accidentale ricavandosi dall’esame di Maria Domenica figlia d’Antonio Fontanelli che al carnevale prossimo passato essendo la stessa nel luogo detto il Capannone, ritrovò in un certo ciglioncino a canto, a cui scorre dell’acqua una delle predette monete, che la regalò a Lorenzo Biagioni, suo Damo; pochi giorni dopo, e il dì 29. appunto di Febbrajo che fu il Giovedì primo di Quadragesima, essendo ritornata la Fontanelli al Capannone per prendere delle ritortole da legare alcune Fascine, si avisò che quell’era il luogo, in cui aveva ritrovata la predetta moneta; onde si fece a ricercare per rinvenirne delle altre, e le riuscì di raccoglierne dieci, le quali avendole portate a Santi Caponi di San Miniato, gliele pagò lire sette. Tornata la mattina susseguente la Fontanelli al predetto luogo, vi si messe a zappare con un manoncino, e scoprì l’intero repostiglio, il quale tanto per quello che si ricava dal deposito giurato de’ Testimoni, quanto dall’accesso e visita seguita non era più raccomandato a Vaso alcuno; ma solamente per di sotto aveva un pezzo di terra cotta a guisa d’un fondo di pentola, della qual terra cotta ne fu scavata un’altra piccola porzione, già loggora dal tempo nell’atto della visita».
La storia del ritrovamento del ‘tesoro di San Miniato’, emerso nel ‘ciglioncino’ in località Scoccolino di San Miniato Basso il giorno di carnevale del 1748, così come emerge dall’inchiesta condotta dalle autorità granducali per recuperare i 3479 denari che lo componevano, affidati alla tutela della terra nel momento finale delle lotte civili fra Mariani e Sillani, intorno all’82 a.C. , ha tratti da commedia rustica del Settecento, sia nel momento del recupero, che per i successivi interventi ‘sulla scena’ del ‘Damo’ della contadinella, del proprietario del terreno, il signor Ascanio Samminiatelli, infine della utorità granducali, e per il ‘lieto fine’, con la divisione in tre parti del tesoro e l’emazione del motuproprio granducale che per trent’anni disciplinò la partica archeologica in Toscana (Ciampoltrini 2003, pp. 51-60).
Anche nella moderna pratica dell’archeologia, guidata da raffinate tecnologie che partono dal remote sensing per concludersi nella redazione del GIS, possono accadere – conservando a questa disciplina in fascino insostituibile dell’imprevedibile – eventi non dissimili da quello del giorno di Carnevale del 1748, a Scoccolino di San Miniato Basso.
Sul finire dell’agosto del 2012, la signora Sabrina Doria, portando al pascolo il suo gregge nella contrada del Botronchio di Orentano (Castelfranco di Sotto), quasi al piede delle Cerbaie, osservava sul fondo di un fosso pubblico per la prolungata siccità estiva un oggetto di bronzo, affiorante anche per il calpestio delle pecore, lo recuperava, lo segnalava alla Soprintendenza.
Il sopralluogo immediatamente condotto per provvedere alla presa in consegna dell’oggetto permetteva di identificarlo, anche per l’eccellente condizione di conservazione, come un elmo, con profilo ‘a ogiva’ e gola alla base, tesa aggettante provvista di una decorazione geometrica (figg. 1-2); si tratta dunque di una redazione ‘canonica’ della classe tradizionalmente detta ‘tipo Negau’, nelle versioni peculiari dell’Etruria tardoarcaica e del V secolo a.C. classificate da Egg come ‘Typ Vetulonia’, giacché paradigmaticamente attestate della massa di elmi della gens Haspna, ritrovati sul finire dell’Ottocento sull’acropoli di Vetulonia, dove erano stati sepolti, dopo essere stati resi inservibili, schiacciandoli o perforandoli – probabilmente in un contesto rituale – sullo scorcio finale del V secolo a.C. (Egg 1985, pp. 198 ss., e p. 207 per Vetulonia; per il tipo Sannibale 2008, pp. 216 ss.; Malnati 2008, pp. 157).
Grazie all’opera di Stefano Sarri, nel Centro di Restauro della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, è stato possibile provvedere al pieno recupero delle superfici e alla conseguente valutazione del sistema decorativo della tesa (fig. 3), già ben conosciuto nel repertorio decorativo dei bronzisti vetuloniesi (Egg 1985, p. 54, nn. 13-15).
Successivi sopralluoghi, condotti a più riprese anche con la collaborazione di Augusto Andreotti e di Arturo Biondi, a cui si deve una continua attività di monitoraggio dell’area, sembrano avallare la possibilità che l’elmo sia isolato, non legato dunque a contesti insediativi, a depositi, di carattere sacrale o di tesaurizzazione, e che dunque sia andato perduto, per cause ovviamente indefinibili, nei decenni centrali del V secolo a.C., quando il tipo – con i ‘guerrieri’ che lo impiegavano – circolava dal Tirreno all’Adriatico.
La frequentazione dell’area in età etrusca è ovviamente da collegare all’agger, di carattere verosimilmente stradale, che dopo aver attraversato con un rettifilo quasi esattamente orientato est-ovest la depressione del Botronchio, partendo dalla sponda destra di un ramo dell’Auser-Serchio, raggiungeva il piede delle Cerbaie qualche decina di metri a sud del punto del ritrovamento. I saggi condotti fra 2011 e 2012 hanno infatti confermato il carattere manufatto del terrapieno, mettendo in luce le opere in legno che ne assicuravano la sponda in corrispondenza del punto di massima depressione e dell’attraversamento di un corso d’acqua e ne hanno confermato il rapporto con l’insediamento detto ‘di Ponte Gini’, che vi si attesta – con vari momenti di crisi e di rioccupazione – dalla metà del V alla fine del III secolo a.C. (Ciampoltrini, Spataro 2012, pp. 57 ss.).

Riferimenti bibliografici

Ciampoltrini G. 2003, “Samminiatensis thesauri”. Il ripostiglio di Santa Lucia di Scoccolino, 1748, in Erba d’Arno 92-93, pp. 51-60

Ciampoltrini G., Spataro C. 2012, La via etrusca del Botronchio di Orentano (Castelfranco di Sotto), in G. Ciampoltrini, P. Notini, S. Fioravanti, C. Spataro, Gli Etruschi e il Serchio. L’insediamento della Murella a Castelnuovo di Garfagnana, Bientina, pp. 57-72.

Egg M. 1986, Italische Helme. Studien zu den ältereisenzeitlichen Helmen Italiens und der Alpen, Mainz.

Malnati L. 2008, Armi e organizzazione militare in Etruria Padana, in La colonizzazione etrusca in Italia, Atti del XV Convegno Internazionale di Studi sulla Storia e l’Archeologia dell’Etruria, a cura di G.M. Dalla Fina (=Annali della Fondazione per il Museo «Claudio Faina», XV), pp. 146-186.

Sannibale M. 2008, La raccolta Giacinto Guglielmi. II. Bronzi e materiali vari, Roma.

sabato 21 dicembre 2013

Le figlie di Borea nelle geometrie del Solstizio








Manca solo Chione, fra le ninfe figlie di Borea, nei giorni del Solstizio, a salutare le sorelle Ninfe degli Scavi Decembrini; ma le sorelle che presiedono al Ghiaccio all'Ombra al Freddo, e le Hyades, tutte accorrono a mirare nel fioco sole che sta per risorgere le geometrie rubate alla terra, incise nella terra, da Susanna e Serena, di qua con Elisabetta e Maila, e di là Sara, un trionfo di S.
Storie di Medioevo e di Romani, di qua e di là dai fiumi, pagine di Notiziari in bianco e nero, pagine di vita che sanno dei colori del pallido Sole che talora Borea fa rifulgere nell'ovatta del gelo.

venerdì 6 dicembre 2013

Anamorfosi & Colori (per le Archeologhe nel Ghiaccio Ombroso)



Anamorfosi, dalle mura al PIUSS, l'ultimo erratico pensiero per lo Scavo Sempre al Buio, anche nel giorno che Maila chiude il ciclo di un anno e non chiediamo quanti perché non ha senso.
Anamorfosi, strati per piani orizzontali perfetti, tagli e nuovi orizzonti, non le metamorfosi degli strati obliqui e insaccati (sono anche i Giorni dei Maiali, questi).
Bianca luce dell'emplecton, della pietra che dà volto alla città, il rosso è un po' in ombra, nell'Ombra Perenne del Ghiaccio Decembrino, e l'immagine non è quella che vorrebbe l'archeologo in ferie, fermato dal c.o. obbligato, certo un rettifilo di mura che s'infrangono sullo strato rosso che ne suggella la fine sarebbe stato più travolgente ma insomma ogni fotografo ha il suo occhio.
Fossi di qui, del tempo dei Romani, fossi di là, dei colori del Sercambi, ma il Secchio di Vernice per colorare il Bianco e il Rosso è a Tereglio, nel blu infinito di lapislazzuli ammirato nel restauro di anni persi, tocchi di Berlinghiero, anni del Comune e delle sue mura, il populus di Lucca, i pedites e i milites, la Libertà – già allora – e le Mura. E dal colore di un opuscolo amatissimo, per una Croce con tutta la passione del populus del Duecento, le armi ed i guerrieri, un po' alla Velazquez, che certo lo ignorava, Berlinghiero e i suoi scherani, pronti a darsi battaglia per le mura e intorno alle mura, et fue lo stormo alla Fratta, diceva il Cronista lucchese.