domenica 10 marzo 2013

Inno (anche in forma di epicedio) ai Raccoglioni

Dovrebbero essere giorni di Rosso Etrusco, anni di fatiche plurime e condivise presentate all'inerte indifferenza, o all'interesse, o a qualsiasi altro incipit in in..., ma sul far di una sera passata nelle nebbie di Maremma parole al telefono risucchiano negli anni Settanta, anni di nebbia come quella di Maremma quando piove, di attese di un sole splendido come quello di Maremma dopo la pioggia, le verdi erbe per le bianche pecore.
Di Raccoglioni s'ha da parlare, e l'archeologo giovane che allora non era ancora archeologo e oggi non lo è più, per titoli status rango, la mattina a seguire diatribe di reimpieghi serie di terrecotte tutte uguali e tutte diverse gettate da matrone megaloelleniche dove Kore voleva e a Demetra non dispiaceva, anche qualcosa di utile, mahchissà, e il pomeriggio le discese ardite e le risalite per Ricavo e Chiecina, o viceversa, mattino o sera, con Ruggero e da solo.
Raccoglione, con l'entusiasmo delle chiazze rosse con i cocci etruschi, Cerreto magica mattina di primavera del '77, con Ruggero, Etruschi e Medioevali e Rinascimentali, Paesante e Poggio delle Conce con quelle storie ancora oscure, narrate da pietre frecce cocci e un po' di macine; ma anche nelle discariche delle coloniche derelitte, a raccoglionar cocci dell'Ottocento in verde giallo stinto e un po' di bianco.
Super-raccoglione, ancora con Ruggero, sull'Arno, e trent'anni dopo scoprire che quei cocci raccolti nelle sabbie di Castelfranco, la spiaggia vista da bambino in secoli remoti, erano marmitte AlpesMaritimes, e le maioliche dell'Ottocento.
E qualche volta e forse anche spesso raccogliere per capire vent'anni dopo le incisioni del Bronzo Antico e la freccia del cacciatore guerriero di tremilacinquecento anni fa; e qualche volta ancora non capito.
Ma ai professori ancora gl'Inglesi non avevano spiegato (dice qualcuno) le meraviglie del survey.


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