venerdì 8 febbraio 2013

Il fascino inquietante dell'archeologia d'età contemporanea (con dedica)



Giorni appena rallegrati dal rosa del tramonto sulla neve montana, per il resto attese del nulla, ma c'è chi lavora e costruisce – o almeno ci prova – e dunque s'attraversano fiumi e paludi, infine le mura, la città desolata dell'inverno che non ha il colore del Carnevale, e nel cupo di tristi conventi di Inquisitori che poi furono tristi caserme, e il sole non v'arriva, le archeologhe di nuovo all'opera, su canalette e selciati: il fascino sottile, di nicchia, per iniziati, dell'archeologia d'età contemporanea, piatti Richard e anche Ginori, pentole di latta, bottiglie con il vino che apprezzava il nonno. Ma l'Archeologo Stanco nacque nella terra anche sui vetri dei nonni (sic!), a far bene i conti, 1870 e dintorni gli anni di nascita, 1890 gli ani della vetreria del San Donato, e ama le pietre che coprono la perfetta crociera di canalette di pietre e mattoni di riuso.
E per le archeologhe che vi rifioriscono, fiori di un tardo inverno che ancora non vede le camelie, seppure un po' stinti, i colori della cavalleria di Fattori, nel sole della Toscana, perché entrino nel triste chiostro che poi fu triste caserma.

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