giovedì 2 febbraio 2012
Luci d'inverno nei secoli bui
Giorni d'inverno, quiete per gli archeologi, che s'affannano nel timore di future quieti, se la terra sarà meno generosa di storia e di lavoro.
Giorni per colorare antichi disegni, di amici che ancora s'affannano sulla neve, non meno brillanti e appassionati, venticinque anni dopo; per tradurre le stinte diapositive nel web, ornarle di numeri, inane belletto di una vecchiaia che è arduo celare. La US 6 che sigilla, e le strutture di ciottoli o cotani, 46 e 44, la fossa che attraversa storie dell'età degli Antonini e del Tardo Impero, in un foro di Lucca popolato solo da attingitori d'acqua in pozzanghere informi. Strane immagini, quelle della terra, venticinque anni dopo, in controluce delle immagini di duchi e marchesi, vescovi e prelati, tremissi e denari, raccontati dai Monumenta Germaniae e dalle pergamene caroline.
E dall'ammasso di terra nera, impasto di macerie e fango, scavato nel fango, venticinque anni fa meno qualche mese, a dar luce di date sui secoli oscuri, nel marasma delle pentole del pranzo di Rixsolfo, buone per fave e un po' d'orzo da bollire con il lardo, spunta l'argenteo conio arabesco, tradotto per l'archeologo ignorante che lo recupera scavando nei suoi scavi, da un dotto d'Allemagna, per le cure dell'amico di Padova che frequenta Udine.
Anni del secolo IX, del figlio di Carlo, un po' dopo, un po' prima, quando Baiuvari e Longobardi e Franchi vagavano per le vie di Toscana, e navigavano in Africa con il marchese Bonifacio, canta l'argenteo conio figlio del Marocco, che recita i segni degli Idrisidi (dice l'amico dell'amico).
Giorni d'inverno, per ritrovare nell'argento del Maghreb gli anni di Eginardo, nella US 4 della pozzanghera a cui i Lucchesi attingevano acqua.
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