lunedì 6 giugno 2011

Il Tesoro del Lago, e l'immagine perduta del Riomoro


Ritornano la H e la F in questi giorni in cui l'acqua di quasi estate fa rifiorire i laghi, troppo tardi per i gigli gialli, che solo attendono il trionfo della prossima primavera. I denari neri di tanti documenti del Duecento son ritornati tali quali li vedevano i fratelli dell'Altopascio, quando passavano a chieder l'obolo, o a darne a chili e chili per un po' di terra, che qualche decennio dopo sarebbe ritornata fango e bosco, ma quel poco di luccicante argento che affiorava sulla pelle della mistura è ancora nelle immagini di due anni fa, e nella scienza del professore di Padova.
Ritornan memorie di epoche antiche, sepolte, con le pagine elencose di cocci infiniti quali negli anni Settanta  avrebbero entusiasmato l'archeologo oggi affranto dall'ordine compulsivo del cartellino orario, macchina della Nuova Armonia, con numeri perfetti che velano il Nulla del Presente, il Rifiuto del Futuro. E allora i neri denari di Pisa e di Lucca, sullo sfondo dello scavo del Riomoro di Orentano, oggi rumoroso di nuove vie che lacerano quieti millenarie, scavo di quando Augusto era un po' più allegro, sulla riva perduta del lago, a tracciare quadrato per quadrato non l'ordine perfetto dell'entrata dell'uscita, ma la ribalda armonia di ardesia in schegge ferro in frantumi, e cocci da far risuscitare in un perfetto servizio dei primi del Duecento, da cui versare un po' di vino risalito dall'Arno, pagandolo con i neri dischetti con la F e la H appena sentite da dita stanche di carbone e di voga sul lago.
L'Archeologo non è solo timbratore in entrata e in uscita, quando dal verde spunta uno strato armonioso, nella sua eterologa disposizione fra ghiaia e torba, all'ombra delle piante che Augusto conosce una per una, ama una per una. E il Tesoro del Lago, nero frutto della torba e delle fatiche di qualche barcaiolo del Duecento, sul lago, andando chissà dove, verso Lucca o da Lucca, negli anni dei Gulefi e dei Ghibellini, dei Castelfranchesi che l'Archeologo Timbratore di cartellini conosceva uno per uno, dalle pregamene della loro sofferenza, luccica nel nero del povero argento affiorante sulla pelle della mistura.

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