venerdì 7 gennaio 2011

Atteone nelle nebbie della Valdera






Nella nebbia che sorge dalle piogge invernali, velo sulle sequenze di colline onde venute dal mare, volano come i pensieri carducciani uccelli che ritornano al mare ... e il ritorno all'acropoli da cui i signorotti etruschi di Terricciola vedevano Volterra città madre e signora, mentre Roma dilatava l'impero e prima che il furore delle guerre civili li cacciasse, si conclude non nella cisterna dell'Ottocento, ma al muro da cui Atteone da due secoli e mezzo ammonisce chi entra nella chiesa erede del castello e dell'acropoli etrusca.
Trentatré anni o più, forse, sono passati dalle rivelazioni delle pagine del Targioni Tozzetti e dalle puntigliose schede del Mariti, anni che han fatto delle memorie del Settecento carte di distribuzione, tipologie ceramiche, scavi di tutela e nell'archivio, modelli di insediamento, dinamiche, e qualche lembo di storia dell'Italia della Tarda Repubblica che si deposita, fra scavi Granio Liciniano Sallustio e Cicerone, sulle colline fascinosamente immerse nel primo buio della notte.
Ma ancora è Atteone, che troppo volle vedere, e fu costretto a vedere, la dea della natura che non poteva e non doveva essere vista nel suo bagliore di forme riflesse dalle acque, il segno estremo degli Etruschi di Terricciola, museificato in situ, come si direbbe oggi, memento perenne della storia remota del castello, e per chi riesce (con i teleobiettivi digitali) a scorgere le corna che lo destinano alla furia dei cani, memento anche per i giorni attuali e futuri. Ma l'archeologo vorrebbe e vuole vedere la dea nuda ...

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