domenica 5 dicembre 2010
I Capponi cotti dalle archeologhe di Lucca (e dintorni)
Il pranzo domenicale è con i Capponi, forse un po' indigesti per l'archeologa perseguitata dalla sindrome ossessivo-compulsiva dell'archeologo rimba (dicono gli antichi dotti di archeologia di Lucca e i seguaci loro, inseguendosi su pagine stanche di gazzette troppo veloci per apprezzare il quieto scorrere dei fiumi etruschi, o troppo lenti per goderne le sonorità di ciottoli e terra). Ma Sara è gentile, e veloce giunge lo stemma robbiano che esalta sui muri di Pescia i Maestri capponiani dell'Altopascio, specchiandosi nel piatto montelupino di foglie gotiche, che ne asseverano il committente nel Guglielmo che riempiva volte di mattoni risuscitati dalle macerie con lo stemma di famiglia. Ma qui s'inorgoglisce del tau d'argento, e l'uomo bestiale e temerario che malmenava i confinanti (dice il Guicciardini, beninteso) trasfigura l'orgoglio della schiatta nella crux patibularis degli antichi cultori dell'accoglienza, dei ponti, della questua (e dei prestiti, dice Meyer).
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