giovedì 16 settembre 2010

Lo sciroppo di Sara, ovvero delle inusitate meraviglie del suolo di Lucca

Fra sepolti paesaggi medievali, bramosi del pennello di Pisanello, più che delle icone del Puccinelli, spunta improvvisa, sotto la mestola di Sara, una buca che narra storie di dolore e morte. Munere mortis non solo nel mondo romano, ma anche in quello dei nonni, storie (si direbbe e dice Sara, erudita dal coniuge erudito) di tubercolosi, di lustrationes post mortem, direbbe l'archeologo del mondo antico, o di semplice eliminazione dei mortiferi cimeli di un familiare di cui tutto viene affidato alla terra, integro o quasi. Catinelle e vetri, bacini, bicchieri, il rasoio, e le bottiglie per sciroppo e le fiale e le siringhe che narrano nel crudo e atemporale linguaggio dell'archeologo una storia di sofferenza malattia e morte invano da cercare nei referti medici, nascosta alla letteratura che non sia quella trombonesca (quasi di certe gazzette locali coeve) del trombonesco romanticismo-positivismo di un'età che sognava Tripoli, e ora Tripoli paventa. E Sara e gli altri amici, protetti dal giallo elmetto, catafratti e luminosi come i cavalieri di Pisanello, dal paesaggio del Tardo Medioevo e dalle pagine del Sercambi ci trascinano repentinamente nelle sofferenze dimenticate dei nostri (per il vecchio archeologo) nonni.

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