lunedì 16 agosto 2010
La morte (e la vita) nell'Etruria degli anni di Augusto e Tiberio. Riflessioni sulla stele fiorentina dei Fontinii, preparando la mostra lucchese
S'avvita festoso, nel tuffo, il delfino, al suono trionfante delle buccine che gonfiano il petto dei Tritoni ... facile metafora dell'estremo tuffo nell'ombra dell'Ade, punto finale del viaggio accompagnato da suoni squillanti fino al rogo in cui il corpo dissolto s'immerge con l'ombra delle ceneri nella terra.
Pochi dubbi sul segno che Priamus e Heraclea, già schiavi di un P.Fontinius che sopravvive in loro, volevano dare alla loro sede estrema, in anni che – ci direbbe qualche dotto tedesco – possono essere fissati da quel che rimane dell'acconciatura della signora. Gli anni di Tiberio, forse, o di Augusto, un po' prima un po' dopo, a seconda delle finezze del dotto tedesco, anni in cui si era persa le memoria del salvifico Dioniso, da tempo represso, ancora non erano giunti Salvatori dall'Oriente, e solo la tomba e la memoria dei vivi davano la speranza che il rogo non tutto consumasse.
Fiero del sevirato, P. Fontinius P.l. Priamus, fiero della donna con cui aveva condiviso la storia di una vita che è tutta in quel simmetrico suono di buccine, nei segni incisi di un fine epistilio, per sollecitarci ad una storia perduta di una colonia augustea sulle umide sponde dell'Arno.
Gli archeologi sono personaggi curiosi, che si baloccano con cocci e strati, gente singolare che s'impunta per un muretto, talvolta; ma quando s'impegnano, riescono anche a scoprire la storia che s'avvita in qualche coccio finito in una buca scavata nella terra con un po' di legna carbonizzata. Le storie della terra, storie di vita e di morte, che ci testimoniano il pezzo di monumento funerario estratto dalla vanga degli sterratori della Fortezza da Basso di Firenze, nel Cinquecento, e gli astrusi frutti di scavi degli anni nostri.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.