giovedì 22 aprile 2010

Glamour & Archaeology: le archeologhe lucchesi sulle strade della città romana




Non maculate dal fango, se non per quel che basta a dar gloria ai calzari (ché calzari possono essere semmai quelli delle compagne di Artemis, non stivali), sfiorano quasi volando l'acqua che sgorga dalla terra accumulata per dar vita alla città romana, le due archeologhe lucchesi, Elisabetta e Serena, con l'eleganza imperturbata delle Ninfe degli Antri. Antri sono in effetti le cantine nelle quali, al terzo turno di archeologi, in un vortice che mette a prova antiche certezze e spezza la stanca schiena dell'antico scavatore, a trent'anni dalle prime discese negli Inferi delle Morte Città, dopo le fosse di spoliazione e gli accumuli degli anni di San Frediano – si preferisce: Frygianus episcopus – affiorano gli ultimi muri di una domus con affaccio strada, su via di ghiaia, prima del nitore potente delle pavimentazioni della colonia dei legionari di Augusto (così vuol credere il remoto frequentatore di epigrafi).
San lustrare assai bene i pavimenti le archeologhe lucchesi, lavare i muri, stanchi della troppa terra, dar colore alle pietre e vita agli strati, accumulando coccio su coccio vernice nera e anfore, e quel che ci porti nel momento magico in cui la città concepita dalla cerchia di mura e dai guerrieri mandati a dicioccare i boschi planiziali nasce nell'abbraccio della pietra e del cementizio.
Si può essere glamour anche nel fango, quando ogni passo ti carica di una maledizione, e l'archeologo rimpiangerebbe la strada lustrata appena intravvista, se la serena acribia delle archeologhe lucchesi non lo distraesse. Si può andar via, la pasta di terra e cocci che divora i muri della colonia è in buone mani.

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