venerdì 5 marzo 2010
Il croco viola e il ferro tra l'ultima neve di Garfagnana
Si dischiude il viola dei crochi fra la neve di Roggio, e il sole d'inverno vela gli annunci di primavera nei ripiani percorsi e ripercorsi dal'antico amico di avventure sui monti di Garfagnana, davanti la Pania di Corfino, e dietro le altre Panie. Il ferro in scaglie d'ematite ricavata chissà come dalle rocce apuane, il ferro in spugne, i minimi cocci che raccontano le fatiche dell'Alto Medioevo, in villaggi dispersi sui fianchi dei monti, dove una lingua di terra permette di aprire un campo al farro o all'orzo, e di scavare una buca per trasformare in strumenti per il farro e per l'orzo le povere schegge del livido colore del ferro, simile a quello di questa mattina in cui l'ultima neve rifiuta di sciogliersi.
La storia di un terra tanto amata da essere percorsa in ogni ruga è nelle devozioni che punteggiano le mulattiere, nello sfacelo delle capanne disperse al limite fra campi e castagni, e nelle tracce arrossate che danno luce, anche in ore buie incise dal vento, alle tormentose pergamene lucchesi del secolo IX, del secolo X, con vescovi traffichini e disgraziati di cui restano il nome, e – con un po' di fantasia, illuminata dal colore del croco – i frammenti di olle d'impasto sabbioso, nate per il pulmentarium di orzo e miglio e fave, con quel tocco in più del lardo non ancora di Colonnata.
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