domenica 14 febbraio 2010

Navigando dalla Piana dell'Auser alle isole Trobriand (o Kiriwani, per essere corretti)




Appena appena traspare l'umido calore dell'estate del 2006, la magica estate dei legni, nelle immagini dello scavo pulito da Serena ed Elisabetta, e Irene, guizzando leggere nel fango, solo lasciando traccia di suola potenti, lieve fatica per Photoshop rispetto a quella di sfiorare legni marci salvandone colore e superficie, pendule, in un forno verde. Nel distillato dell'immagine i puri volumi dei legni si fondono nel blu violaceo dei limi palustri, riemersi sul fondo del fosso da aprire, nel tratto fittissimo del disegno appena appena si distinguono i pali portanti e le assi galleggianti, intrico che emula quello dello scavo. È la mitica Fossa Cinque, il villaggio del Bronzo Finale cercato da quasi venti anni, nelle sue forme, nei suoi colori. E poi, l'anno dopo, l'asciutta griglia dei pali, e il grumo dei cocci che conferma la data: BF 3 B, come dice autorevole il Pacciarelli, gli anni intorno al 1000 a.C., data suggestiva. Le fatiche di Augusto finalmente coronate, i tanti ghirigori incisi sui vasi del Bronzo Finale che trovano lo scenario degno.
E anni e anni per lavare i cocci, incollarli, fatica e esaltazione di Consuelo, studiarli, anche se lo studio è facile, dopo gli strenui tormenti del '97 e i fasti di Livorno. Da Stagno a Fossa Cinque, lungo le vie dei fiumi che Marcello aveva visto nel satellite e dall'aereo, nell'intrico di rami dell'Arno e dell'Auser, vie che si aprono verso il nord, verso la Pianura Padana, Protogolasecchiani e Protovillanoviani, Etruschi e Liguri, si direbbe in parlar comune e non nel gergo mistico e autorefenziale del protostorici accaniti nello scandire le teste degli spilloni in forme, controforme, varianti. E bravi anche a crederci (o a far credere di crederci).
Ma per dar vita a pali e tavole e travicelli, e relitti di stuoie, è assai meglio metter le vele nel mare di Google, e andar per pile dwellings o pfahbauten, e arrivare oltre la Nuova Guinea, alle Salomone e alle isole Trobriand, le mitiche terre in mezzo all'oceano, del kula e di Malinowski. La Struttura 2 di Fossa Cinque, scavi 2007, diviene a colori nell'immagine delle isole dei mitici canti, dei rituali neolitici e matriarcali (?), di Kiriwani, giacché i navigatori della Melanesia e della Polinesia non avavano bisogno di un francese che desse loro nome; navigavano anche meglio dei francesi e degli inglesi del Settecento, con le loro terrificanti canoe.
Quasi si immagina che anche i Bronzifinali (ma avranno di certo parlato in etrusco) di Fossa Cinque e di Stagno, di Fonteblanda e di Punta degli Stretti, navigassero come gli Austronesiani, sul Tirreno. Ma gli Efori dell'Archeologia non vogliono, erano Bronzofinali, non etruschi, si divertivano a far le teste di spilloni e le fibule in cento modi diversi, per la loro gioia analitica e fasificatrice.
Ma forse vivevano come i Trobriandesi, girando per isole con il kula, pieni di voglia di vivere, di generare, energici ed energetici. Troppo per i classificatori di teste di spilloni e di ghirigori incisi su vasi costruiti non per analizzare il rapporto fra depressione del fondo e angolo del labbro, spigolo della carena, ma per portare alla bocca una bevanda che desse gioia, vita, forza, oblio (sarà stato il vino? Avevano i vinaccioli, i Bronzofinali, ma forse ci si facevano una bella macedonia).

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