domenica 21 febbraio 2010
La cintura di San Martino e i vici dell'Amiatino (per esigenza di rima)
S'intrecciano segni come parole, sulle vie della rete, e par quasi di riconoscere l'interlocutore, nel flusso concitato di segni che trasmette l'emozione della scoperta, l'ansia della riflessione; e pur se la parola è altra cosa, come insegnavano i retori antichi ai poveri liceali del tempo che fu, il segno può rispecchiarla, appena appena spezzandola, agli occhi delle matite rosse e blu, in preziosi anacoluti.
Fra ville e capanne, Grubenhäuser e tombe, ritornano i tramonti sul sole di Maremma degli anni Ottanta, quando la terra si dischiudeva in strati che rivelavano gli anni di Rutilio, della fine del mondo che non finiva, mutava per essere altra cosa. Mutava nel V come era mutato nel IV secolo, e prima nel II, e poi anche dopo, ma senza Plutarco a raccontarci i drammi della guerra civile segnata dai morti ammazzati per gruzzoli e tesori perduti, o Cicerone e Cesare a farci sentire storie di profittatori e naviganti, Domizi e Sesti, e poi, come ci dicono le tegole, Coeli e Considi.
Ma qui, quando la via Aurelia non è più ripasciuta di ghiaie, i ponti si sfasciano come le ville, i signori di terre sterminate con i loro actores spremono qualche solido (o qualche tremisse?) alle fatiche annuali di poveri contadini e pastori che s'aggeggiano capanne e protezioni sui ruderi di ville e templi, desolati come le rovine di Cosa agli occhi di Rutilio quando sostò alla Tagliata, l'emozione delle nuove passioni contrappunta vecchie scoperte, non nella terra rimossa dagli ultimi contadini di Maremma sotto gli occhi dell'archeologo, ma negli archivi che celebrano storie di scavi di più remoti contadini.
La cintura del contadino (semiricco?) di San Martino, una foto sbiadita del secolo che fu, che sfila in US che non sono di terra, ma fascicoli con storie di cose e di uomini. E subito l'ansia di segnalarla, di condividerla, e scoprire poi che l'entusiasmo del ricercatore non può pungere un'Accademia a ben altro intenta.
Ma rimane il contadino di San Martino sul Fiora, morto in qualche anno del secolo VII nel territorio di Sovana, con la sua cintura impreziosita di ghirigori tardoromani, forse di manifattura centroitalica (ancora non era giunta la Crypta Balbi a dimostrare l'ovvio, per chi degli archeologi si fosse avventurato fra le irte pagine di Cassiodoro e Gregorio Papa). Legame, nel filo sottile di terre desolate (ma non troppo) fra la fanciulla di Saturnia, con i suoi gioiellini, e la società di campagna delle pergamene amiatine, fra vici che hanno ancora un bel nome romano, per sparire poi nei 'meravigliosi' anni di Carlo.
Una società rurale, si direbbe, ma complessa e stratificata, che è vana speme cercare fra mucchietti di cocci d'impasto (dice il vecchio archeologo, forse invidioso dei giovani che vi riescono, o credono di riuscirvi).
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