sabato 10 ottobre 2009

I volti di pietra delle città latine, da Cosa a Lucca, passando per Alatri




Sembra veloce il viaggio da Lucca a Cosa, e poi ad Alatri e Ferentino; ma non per l'archeologo che lo percorre cercando i segni del passato, con la pazienza che la povertà gli impone. Non ci sono PIC o PIT o FASL, Arcus o ottopermille, a rendergli comoda la vita; deve attendere il kairos, coglierlo al volo, perché solo di rado si ripresenta. A Lucca tre volte gli è passato davanti: la prima le Vestali archeologhe che lo (il kairos, scilicet) accompagnano erano sedotte dal fascino subdolo dei crani accumulati per cedere alla lusinga dei muri di pietra, ma la seconda e la terza la faccia di marmo della città sull'Auser, figlia dei Latini e degli Etruschi, alimentata dai Liguri già nemici e ora alleati, gli si è rivelata. Senza ermeneuti, cantava Pindaro letto quando il greco non era remoto, non sempre i segni della terra sono eloquenti; e gli ermeneuti sono apparsi nelle terre del Lazio, dove signorotti del paese, centurioni, legionari, temprati da cento battaglie e mille estorsioni, celebrati dai versi di Lucilio, esaltavano le città natie, figlie di Ernici, Volsci, Latini, appollaiate su montagne oggi brulle e un tempo forse ridenti, con lisce pareti di pietre dai cento colori, miscelate con tagli (quasi) perfetti.
Non certo perfetti come nella figlia di Roma e dei Latini, e dell'arte di costruire le città appresa da Seleucia a Demetriade, la turrita corona del poggio che domina laguna e mare, Cosa, finalmente rivelatasi degna rivale tirrenica delle fondazioni dei Diadochi, con il suo tagliente apparato di pietre, di torri e di porte; desolata più da chi vuole ancora rifarla, fra PIC PAC PIT ottopemille ed Arcus, misero erede degli allievi dei maestri ellenistici, che dall'abbandono di cui fu testimone Rutilio.
Dunque, da Cosa a Lucca – le città figlie di Roma, gettate sui confini di mare e di terra di uno Stato fondato sull'inaudita miscela di prepotenza e convenienza che sfidava il povero Polibio – s'inseguono i Segni dell'Ellenismo di confine, nutrito del genio italico – come si sarebbe detto quando la parola 'Patria' non era vituperevole sinonimo di 'Paese' – capace di far proprie lezioni allotrie. Non i Ciclopi, non i misteri calati da arcane ricerche di congiunzioni stellari, ma maestrie apprese e propagate congiungono in intrecci senza fine le pietre poco prima accumulate brutalmente, celebrano città che sono anche macchine da guerra, temibili nella loro eleganza.
I filari di calcare cui le giovani archeologhe volgono le spalle, dopo averli puliti e celebrati, racconteranno storie che vengono da Atene e dalla Macedonia, sono state narrate sul Liri e sul Volturno, hanno esaltato i lettori di Lucilio e di Terenzio. Se solo qualcuno volesse ascoltarle ...

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