lunedì 7 settembre 2009
Latrones e triumviri ... incontri nell'Etruria settentrionale degli anni 60-50 a.C.
Si concludono e ritornano, capitoli scritti e i capitoli sognati. 'Lucca incontra il mondo', un titolo sospeso, che il giorno 11 si svelerà nelle sue immagini sontuose e nei suoi testi asciutti (ma facciamo tanti auguri all'editore, se lo merita). Ritornare sulla Lucca di Plutarco e di Cicerone, riflettere, per obbligo, sull'ambiguità delle fonti, ritrovando assai arrugginiti antichi strumenti sepolti sotto la mestola e il piccone, travolti dal fragore dell'escavatore: il dubbio della fonte, il metodo filologico. Ma archeologia e storia, sorelle siamesi, se mai entità distinte, si stringono e si annodano – quasi amanti monteverdiani – negli itinerari dell'Etruria settentrionale, degli anni tormentati che la vernice nera triste e arida dell'ultima fase vela: i latrones di Sallustio, le prepotenze dei senatori pescecani di Silla (e non solo), rivivono nelle tragedie narrate dal ripostiglio di Compito, che qualche stinta pagina ottocentesca ci restituisce, e di Gavorrano, che si plasma su un fascicolo dell'archivio degli Uffizi, con il suo interminabile elenco di denari, e la coppa d'argento appartenuta a Caius Valerius Naso, forse l'infelice degli anni 58-57 a.C. La sufficienza di Cicerone e le allusioni di Sallustio danno spessore e toni cupi alle vie sulle quali (se non per mare) Pompeo va a superare un confine non segnalato, e arriva a Lucca. Con Crasso, con codazzo trionfante, come celebrano Svetonio e Plutarco; o con qualche intimo, come lascia intuire all'accorto lettore Cicerone. Ma all'archeologo che vuol dar vita ai rimasugli che la terra ha concesso a lui e ai suoi predecessori, poco importa. È troppo più affascinante la misteriosa storia del ripostiglio di Compito, è troppo più viva la tragedia di Caius Valerius Naso. Ma solo leggendo Sallustio il liscio argento di Valerius Naso riesce a brillare di nuovo, strappato alla solitudine da un desolato articolo su una esausta rivista scientifica, ritornato alla solitudine negli obitori che si chiamano di solito musei.
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