giovedì 14 maggio 2009

Segni del Gas: sugli scavi dell'Officina del gas di Lucca



Riverbero di sole su terre aride, muri che si confondono nel sole di maggio con terre assodate da pochi decenni di seppellimento. Archeologhe che si affaccendano, teorizzano, riflettono sui riflessi del sole. L'Officina del Gas di Lucca riemerge, attesa e inaspettata, con una storia complessa che l'astuzia dell'archeologo cerca di ricomporre, scandendo in fasi le fatiche di operai immersi nei vapori del litantrace, cercando di recuperare i progetti degli ingegneri ottocenteschi, prima di più fresche ricerche d'archivio. Emergono mattoni refrattari con marchio di fabbrica, onomastica inglese che è mirabolante sequenza dei laterizi bollati romani, in tutt'altre storie di traffici e di tecnologie, a celebrare – come si direbbe – la rivoluzione industriale giunta infine, ormai nell'avanzato Ottocento, ad illuminare anche le vie di Lucca. Le suggestioni di muri che si intrecciano e si seppelliscono si perdono nella difficoltà di un'archeologia presbite, tanto sicura nel ricomporre una capanna del Bronzo Finale, quanto a disagio in orizzonti ottocenteschi. Ma è una sfida, un nuovo stimolo (scriveva l'archeologo pontificante, all'ombra dei platani di Paganico, a riflettere sugli amati Paesaggi dell'Auser).

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