martedì 25 febbraio 2020
Emozioni differite. Ritornando a Val di Vaiana di Barga (quasi) cinquanta anni dopo
Quante volte sfogliati i fascicoli della Soprintendenza che fu, ma ancora può accadere che una busta apra inattese emozioni. Val di Vaiana, Barga, la storia di un gruppo di appassionati, settembre 1970, alla ricerca degli antenati, ed ecco che in immagini in bianco e nero, e nei colori un po' metallici di quegli anni, appare la tomba nel magico momento che si svela.
La storia di un guerriero ligure, anni 250 a.C. un po' più un po' meno, dichiara la coppa venuta dall'Etruria, appesa alla parete con un gancio di ferro, come per la Fanciulla di Vagli, con il suo bicchiere per la birra degli avi, la punta della lancia, un po' di borchie per chissà che cosa. L'olla consunta, la coppa per coprire le ceneri ...
Austere dotazioni, essenziali, rituali, per seguire le vie dei Liguri di qua e di là dell'Appennino, congiunti dai valichi, e non divisi dai crinali, come spesso è per la gente di montagna, direbbe Anselmo.
domenica 9 febbraio 2020
Castelnuovo di Garfagnana. Una storia archeologica
Giulio Ciampoltrini, Silvio Fioravanti, Paolo Notini
Il territorio di Castelnuovo di Garfagnana
dall’Età del Bronzo alla Tarda Antichità. Una storia archeologica
La rupe su cui sorge Castelnuovo di Garfagnana è chiamata dalla sua posizione a svolgere un ruolo cruciale nel sistema stradale e – di conseguenza – degli insediamenti dell’Alta Valle del Serchio (fig. 1). Qui convegono tre assi itinerari: il primo risale verso i passi delle Radici e di San Pellegrino, sulla sponda sinistra del fiume, e porta alla Pianura Padana; il secondo, fiancheggiando la Turrite, conduce alla Versilia e al mare; il terzo percorre la Valle del Serchio, seguendo da vicino il letto del fiume o, piuttosto, attestandosi sui terrazzi che lo orlano.
Già dall’Alto Medioevo furono proprio le rocce di Castelnuovo a dominare questo crocevia. L’evidenza archeologica è affidata solo all’incerta testimonianza di una tomba d’età longobarda di ritrovamento ottocentesco[1]; i saggi stratigrafici condotti nell’area della Rocca Ariostesca non hanno rivelato testimonianze di frequentazione precedente a quella del castello dell’XI secolo, che ha generato l’attuale centro murato e che è noto delle fonti documentarie[2]. Tuttavia non sembra discutibile che il Castellum Novumcitato da documenti d’età longobarda, nel secolo VIII, quasi certamente di fondazione tardoantica (V o inizi del VI secolo), sfruttasse la posizione protetta dell’attuale Castelnuovo. La difesa naturale è tratto essenziale per l’ubicazione dei castellache a partire dal V secolo d.C. vigilavano sulla sicurezza del sistema stradale di ciò che restava dell’Impero Romano. La cura delle vie era ancora attenta, sia perché erano indispensabili al rapido movimento degli eserciti, sia perché potevano trasformarsi in assi di penetrazione degli invasori. I Longobardi, al loro arrivo in Toscana, conservarono almeno per un secolo questa eredità dell’Impero, che garantì il collegamento di Lucca con la capitale del loro regno, a Pavia.
In altri momenti storici diverse condizioni – sociali o politiche – non avevano imposto di cercare luoghi protetti come sede degli insediamenti. Infatti, più che la rupe alla confluenza fra Serchio e Turrite, a lungo furono soprattutto i terrazzi nei quali l’Alta Valle si dilata a sud di Pontecosi a popolarsi di una vera e propria rete di abitati. Questi abbinavano allo sfruttamento di aree dall’elevato potenziale agricolo o possibile pascolo per il bestiame, la collocazione sugli itinerari che si sono appena descritti e le conseguenti relazioni commerciali.
Alla Murella di Castelnuovo, sul terrazzo alla confluenza fra il Serchio e il suo affluente di destra che oggi ha nome di Esarulo (il ‘piccolo Serchio’, Auser/Aeser), gli scavi preliminari alla costruzione della circonvallazione di Castelnuovo misero in luce, fra 2010 e 2012, stratificazioni che documentano la presenza di un insediamento del Bronzo Medio, in una fase antica (circa 1600 a.C.)[3]. Poco a monte, nell’area del Muraccio di Pieve Fosciana, era già stato scavato un abitato che aveva testimoniato la presenza di comunità strettamente legate alla civiltà della Pianura Padana detta ‘delle terramare’, fiorita per gran parte del II millennio a.C. Soprattutto la tipologie delle tazze, con le caratteristiche anse configurate, avevano rivelato che fra 1500 e 1400 a.C. la Garfagnana era parte di questo ambito culturale. I ritrovamenti della Murella corroborarono queste considerazioni. Fra i materiali ceramici appare di grande interesse la scodella provvista di una particolare presa (detta ‘canaliculata’) e di un apparato decorativo reso a incisione, con ‘motivi radiali’ (fig. 2) che ne coprono l’esterno, partendo dal ‘pettine’ inciso sul fondo. L’ornato compare, con varianti, in analoghi capi ceramici ritrovati nell’area padana e può essere datato nel momento iniziale del Bronzo Medio (circa 1600 a.C.).
Incrociando queste informazioni con quanto emerge da altri siti della Garfagnana, si è concluso che la complessa struttura culturale e sociale delle ‘terramare’ padane attivò sin dalla sua formazione una via di comunicazione verso il Tirreno, seguendo la Valle del Serchio, che veniva raggiunta probabilmente dai passi delle Radici e di San Pellegrino. Le comunità insediate fra il Muraccio e la Murella segnavano una tappa di questo percorso, che si concludeva nella Piana dell’Auser nel grande villaggio di Fossa Nera di Porcari[4]. Grazie alla vivacità di questa via e alle risorse del territorio, per più di tre secoli l’Alta Valle del Serchio si popolò di villaggi la cui cultura è sostanzialmente identica a quella delle comunità delle ‘terramare’ dell’Appennino emiliano. Con queste i contatti rimasero strettissimi sino alla grande crisi che, intorno al 1200 a.C., portò alla fine repentina di questa civiltà, probabilmente per una vera e propria catastrofe ecologica (la ‘crisi del 1200 a.C.’)[5].
Nei secoli oscuri intorno al 1000 a.C. sono le rupi scoscese che punteggiano la Garfagnana il punto di riferimento per le piccole comunità che vi si muovono, ancora una volta seguendo le occasioni di traffico che nella documentazione archeologica sono attestate da ripostigli di manufatti in bronzo. Lo straordinario paramento in bronzo ritrovato nel 2014 in un anfratto nella roccia di Cima La Foce (Comune di Villa Collemandina), dove era stato nascosto proprio intorno al 1000 a.C., ha offerto la chiave di lettura per capire la nascita e la fine degli abitati di quei secoli (il Bronzo Finale: 1150-900 a.C. circa) in Garfagnana. La Capriola di Camporgiano e il Castelvecchio di Piazza al Serchio, infatti, sono abitati che sfruttano le difese naturali per assistere le vie commerciali che distribuiscono oggetti in bronzo dalle Alpi alla Pianura Padana e da qui alle coste della Toscana[6].
Nnella prima Età del Ferro (IX-VIII secolo a.C.) la Garfagnana sembra spopolata. In maniera più corretta si dovrebbe forse dire che fu frequentata solo da piccole comunità che la ricerca archeologica non è riuscita sinora a mettere a fuoco. Certo è che in questo momento le comunità partecipi della cultura detta ‘villanoviana’ – corrispondente al momento di formazione della cultura etrusca – non si avventurano nella Valle del Serchio, fermandosi nella Piana di Lucca, dove sono ormai ben documentate[7].
Le fonti archeologiche tornano ad essere vivaci solo con il consolidamento di un nuovo, solido sistema di insediamenti nella Versilia e nella Piana dell’Auser, nel corso del VI secolo a.C.- Protagonisti di questa impresa furono gli Etruschi, che già dal secolo VIII avevano dato nuova vita a queste terre Proprio il terrazzo della Murella viene scelto, intorno al 530 a.C., per la fondazione di un villaggio, che si avvalse della protezione assicurata su due lati dal Serchio e dall’Esarulo, sul terzo da un terrapieno che è stato possibile indagare a più riprese[8].
Gli scavi condotti fra 2010 e 2012, dopo le prime ricerche del 2004, hanno rivelato che il villaggio era fornito – oltre che di un apparato di difesa – di un impianto urbanistico tracciato da vie con pavimentazione in ciottoli, sulle quali si affacciavano case con fondazioni in pietra ed elevato e coperture in legno, sorretto da pali di cui sono state riconosciute le buche di alloggiamento (fig. 3). La massa dei materiali – ceramici e netallici – prontamente restaurata e presentata in una mostra nel Museo di Villa Guinigi a Lucca, nel 2013, delinea il profilo di una comunità strettamente legata agli Etruschi della Piana di Lucca. Sono intensi anche i rapporti con le aree etrusche dell’Emilia, in particolare della Valle dell’Enza. In particolare, l’iscrizione graffita su una ciotola, in cui Adriano Maggiani è riuscito a leggere la dedica di una donna ad un personaggio maschile (fig. 4), mostra aspetti propri sia dell’Etruria tirrenica che di qualla padana[9]
Traffici e attività manifatturiere – in particolare con la tessitura della lana – assicurarono fino almeno al 450 a.C. la fioritura dell’abitato della Murella, che si presenta come vera e propria ‘cerniera’ fra l’Etruria tirrenica nordoccidentale, egemonizzata dalla città di Pisa, e gli Etruschi della Valle dell’Enza. Grazie agli scavi del 2010-2012, ha cessato di essere solo ipotetico l’itinerario dalla Valle dell’Arno al Po che è punteggiato dalla diffusione del caratteristico tipo di bronzetto di offerente conosciuto dai ritrovamenti della cosiddetta Buca di Castelevenere, nella Media Valle[10].
Ancora una volta sono fattori di carattere ecologico, intrecciandosi con metamorfosi sociali e nei rapporti di politica internazionale, a determinare una grave crisi, che colpisce l’Etruria settentrionale dopo il 450 a.C. e porta alla fine dell’abitato della Murella, come di quelli della Piana di Lucca e della Versilia.
In territori che sembrano pressoché spopolati arrivano intorno al 300 a.C. comunità che nel dato archeologico si presentano con gli aspetti peculiari delle comunità liguri conosciute già dal V e IV secolo a.C. nell’Appennino ligure e in quello emiliano, grazie a tombe e ad insediamenti: sono i Liguri Apuani, che per poco più di un secolo daranno nuva vita alla Garfagnana e a gran parte dell’Appennino tosco-emiliano[11]. I villaggi di Monte Pisone, (San Romano in Garfagnana) e del Colle delle Carbonaie (Castiglione di Garfagnana), assieme alle caratteristiche ‘tombe a cassetta’ hanno consentito di delineare la storia di questo popolo: l’arrivo nell’Appennino tosco-emiliano e sulle montagne che da essi traggono oggi nome (le Alpi Apuane), intorno al 300 a.C.; i contatti e gli scambi con gli Etruschi della Piana di Lucca e del Valdarno, fino allo scoppio della guerra con Roma e con gli Etruschi loro alleati, datato dalle fonti storiche al 238 a.C. ; il momento più crudo e conclusivo della guerra, fra il 200 e il 180 a.C.; la loro sconfitta e deportazione nell’Italia meridionale o nella Piana di Lucca, fra 180 e 179 a.C.
La tomba della ‘Fanciulla di Vagli’, venuta in luce nel 2008, proietta una luce straordinariamente vivida sul momento finale della presenza ligure in Garfagnana[12], quando – dopo il 200 a.C. – il sistema di insediamenti mutò drasticamente, per adattarsi alla difficile situazione. Gli abitati divennero precari, facilmente soggetti ad essere abbandonati e trasferiti, tanto che di regola sono testimoniati solo da discariche delle anfore del tipo detto ‘greco-italico’, che facevano giungere ai Liguri Apuani, attraversando senza apparente difficoltà le ‘linee del fronte’, il vino prodotto sulle coste del Tirreno centro-meridionale. Da qualche decennio gli Apuani, che a lungo avevano avuto come bevanda alcolica una sorta di birra, consumata in caratteristici ‘bicchieri’, ne erano divenuti straordinari consumatori.
Un pozzetto venuto in luce al Colle della Fame, sul valico per Monte Perpoli durante lo scavo del metanodotto, nel 1987, era colmato di frammenti di decine di anfore greco-italiche degli inizi del II secolo a.C. (fig. 5)[13]; è questa ancora oggi la prova più spettacolare del consumo di vino negli anni della guerra. L’elmo ritrovato in circostanze favolose alla Croce di Stazzana – ritenuto dapprima di qualche soldato della Seconda Guerra Mondiale, poi riconosciuto come cimelio degli inizi del III secolo a.C. – è una testimonianza non meno eloquente di questi momenti (fig. 6)[14]. Il tipo di elmo era impiegato sia dai Romani e dai loro alleati Etruschi, che dai Liguri, e quindi non è possibile decidere a quale dei due eserciti apparteneva il soldato che lo perse.
Tracciando una linea ondulata, con cicli di apogeo e crisi degli insediamenti, che sembra peculiare di questo territorio, alla deportazione dei Liguri sembrano succedere quasi due secoli di silenzio. Solo con gli anni di Augusto, e con la rifondazione di Lucca, avvenuta fra 41 e 27 a.C., la Garfagnana torna a rifiorire, anche grazie alla via che la percorre e collega Lucca alla Pianura Padana. Il pilone che sopravvive come suggestivo segno del paesaggio alla Murella – che da questo rudere trae appunto il nome – su un masso lambito dalle acque (fig. 7), era parte del ponte con cui la via romana si spostava dalla destra del fiume – dove è testimoniata nella Media Valle dai toponimi Sesto, (Val d’) Ottavo, Diecimo – alla sinistra.
Da qui superava gli Appennini con un valico per ora non identificato con certezza, e si raccordava infine a Parma con la via Aemilia, come dichiarano le fonti documentarie[15]. Le tracce dell’insediamento scavato sull’opposta sponda, non lontano dal sito degli abitati dell’Età del Bronzo ed etrusco, sono ben datate agli anni compresi fra il 40 e il 20 a.C., grazie alla coerenza delle tipologie ceramiche, fra le quali spiccano le più antiche produzioni di Arezzo (fig. 8). È probabile che questo altro non fosse che il ‘cantiere’ in cui operarono le maestranze incaricate della costruzione del ponte.
La fioritura della Garfagnana in età romana si riflette nella toponomastica indotta dai nuovi assetti agricoli e del paesaggio, molto più che nel dato archeologico. I toponimi prediali delle aree messe a coltura, con il caratteristico suffisso –ano aggiunto al nome della famiglia proprietaria (un caso per tutti: Antisciana, la ‘terra di proprietà della famiglia degli Antestii’, ovvero il fundus Antestianus) e quelli che evocano le proprietà collettive dei pascoli e delle selve delle medie e alte quote (compascua, da cui il Monte Compasqua) dimostrano che l’Alta Valle del Serchio conobbe in età imperiale una vivacità di cui sarebbe vano cercare il riflesso nelle fonti archeologiche. Queste si infittiscono soprattutto nella Tarda Antichità, e sono dovute soprattutto alla frequentazione delle grotte, imposta forse da un nuovo modello di allevamento del bestiame, oltre che da nuove forme di religiosità. Le grotte sono infatti anche luogo sacro – le Grotte delle Fate della toponomastica odierna – in cui i pastori e i boscaioli veneravano le Ninfe dei monti e delle acque alla cui benevolenza erano legate le loro sorti[16].
La forza delle tradizioni ‘pagane’ si riverbera anche nella più spettacolare restituzione dall’insediamento di Volcascio, scavato negli anni Ottanta del secolo scorso: la statuetta acefala della Abundantia(fig. 9),la divinità che doveva assicurare ai suoi devoti le messi che esibiva nelle sue mani[17]. La statuetta, modellata in un blocchetto di giallo antico – una pietra provieniente dall’Africa settentrionale – fu incontrata nelle stratificazioni con materiali databili intorno al 400 d.C., prodotte da un abitato disposto sul fianco del rilievo lambito dalle acque del Serchio. Era forse questa via d’acqua, lungo la quale si dovevano già essere attivati i traffici del legname per fluitazione, a motivare la fondazione di questo piccolo abitato.
Le vie d’acqua e la via romana sono ancora per il V e il VI secolo d.C. gli assi lungo i quali si svolge la vita della Garfagnana. La valle aveva acquistato un ruolo strategico di particolare rilievo nella struttura militare dell’Impero d’Occidente da quando Lucca era stata trasformata in ‘città-fortezza’, che sbarrava una delle più comode vie d’accesso a Roma per cui venisse dalla Pianura Padana.
Fu per questo che al loro incrocio, sulla rupe lambita a sud dalla Turrite, dovette essere fondato in questi secoli il Castellum Novumche ha generato Castelnuovo.
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Da Fossa Nera di Porcari a Monte Formino di Palaia. La ‘crisi del 1200 a.C.’ tra Valle del Serchio e Valdarno, a cura di G. Ciampoltrini, Bientina 2013
Didascalie alle figure
Fig. 1. Siti archeologici del Comune di Castelnuovo di Garfagnana, riferiti alla Carta Miranduolo del Ducato di Lucca (per g.c. della Fondazioone Cassa di Risparmio di Lucca).
Fig. 2. Scodella con decorazione incisa dalla Murella di Castelnuovo. Età del Bronzo Medio.
Fig. 3. Gli scavi 2010-2012 nell’insediamento etrusco della Murella di Castelnuovo: planimetria complessiva.
Fig. 4. Ciotola con iscrizione etrusca dalla Murella di Castelnuovo. Prima metà del V secolo a.C.
Fig. 5. Discarica di anfore greco-italiche sul Colle della Fame di Castelnuovo. Scavi 1987.
Fig. 6. Elmo in bronzo sporadico dalla Croce di Stazzana. Fine III-inizi II secolo a.C.
Fig. 7. Ruderi di ponte d’età romano alla Murella di Castelnuovo.
Fig. 8. Scodella con stampigliature (marchio di fabbrica) dalla Murella. Circa 40 a.C.
Fig. 9. Statuetta acefala di Abundantia, da Volcascio. Seconda metà del IV secolo d.C.
[1]ciampoltrini1995, pp. 564-566.
[2]ciampoltrini, notini, rossi1998, pp. 246-254.
[3]ciampoltrini, notini, fioravanti2013, pp. 16-30.
[4]andreotti, ciampoltrini2013, pp. 35-58.
[5]andreotti, ciampoltrini2013, pp. 57-58.
[6]ciampoltrini, fioravanti, notini2015.
[7]ciampoltrini2014.
[8]ciampoltrini, notini, fioravanti 2012, pp. 15-56.
[9]ciampoltrini, maggiani2009.
[10]ciampoltrini2018, pp. 51-57
[11]Ancora utile ciampoltrini2005.
[12]ciampoltrini, notini2011.
[13]ciampoltrini1993, pp. 62-63.
[14]ciampoltrini2005, pp. 47-48.
[15]ciampoltrini, notini, spataro 2005.
[16]ciampoltrini, spataro 2008.
[17]ciampoltrini2001.