mercoledì 23 marzo 2016

La Pasqua di Gentucca



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Testi perduti (capita)

Gentucca in San Francesco. La genesi del convento del San Francesco e un percorso archeologico nella Lucca del Trecento

Accade non di rado che gli scavi archeologici siano come le telenovelas, o le soap operas: storie aperte, in cui c’è sempre qualche nuovo fatto o qualche nuovo personaggio che differisce la fine della narrazione. Sono, insomma, sequenze infinite di microeventi, che non trovano mai la conclusione che – dalle tragedie greche ai film contemporanei – esalta e motiva le vicende sceniche; spesso, anzi, è solo l’affievolimento dell’audience a imporne la conclusione.
Così anche nella ricerca archeologica è regola comune che nuovi ritrovamenti altro non facciano che rendere vieppiù enigmatiche le precedenti scoperte; inopinate novità o inestricabili grovigli di strati congiurano nel differire l’interpretazione risolutiva all’epifania – non dal cielo, ma nella terra smossa – di un deus ex machina che sciolga un intreccio ormai insostenibile. Per lo più, l’attesa è vana.
Non è stato questo il caso delle ricerche archeologiche che per anni sono state assidue – forse anche petulanti, talora – compagne di ogni momento del complesso ciclo di lavori che dal 2008 al 2013 ha trasformato il complesso conventuale del San Francesco da luogo oscuro dell’ordito urbano di Lucca, reso marginale dalla dismissione della caserma prima e poi dal declino del resuscitato convento francescano, nel cuore di un campus universitario che si integra in un rigenerato quartiere il cui polmone verde è il ritrovato Giardino degli Osservanti.
Dallo scavo è progressivamente affiorata una complessa architettura conventuale degna del monastero benedettino in cui si svolgono le vicende narrate nel Nome della Rosa. Gli spazi del cellarium/cantina, riscoperti nella Stecca nel primo lotto di lavori, si sono infatti progressivamente integrati nel chiostro che già nel Duecento era il nucleo portante della struttura conventuale, articolandosi con la chiesa sul lato meridionale, la sacrestia e il campanile sull’ala orientale, il dormitorio e il refettorio nell’occidentale, saldati dall’ala settentrionale del chiostro stesso. I documenti davano, di volta in volta, le chiavi per l’interpretazione funzionale degli ambienti che lo scavo disegnava.
Sono stati però gli ultimi mesi di lavoro, nella primavera del 2013, a fornire i dati risolutivi per far collimare fonti documentarie e dati archeologici.
Le strutture medievali venute in luce nell’area occidentale del San Francesco si integrarono in quelle già esplorate nel 2010-2011 e ricomposero la planimetria degli edifici eretti dai ‘Disciplinati di San Francesco’. Ancora una volta la datazione archeologica combaciava con le indicazioni documentarie registrate dal prezioso contributo di Salvatore Andreucci sulla confraternita, edito nel 1971 nel ‘Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria’. Il chiostro sepolcrale di cui questa si era dotata – secondo il tipo architettonico apprezzabile soprattutto nel Camposanto Monumentale di Pisa, ma applicato anche a Lucca, nel chiostro cimiteriale del San Martino che oggi accoglie il Museo della Cattedrale – saldava al convento francescano un monumento singolare: la chiesa di San Franceschetto, o – come suona l’iscrizione di dedica – ‘della Beata Vergine e di San Francesco’, fondata nel 1309 da Lazzaro Fondora perché fosse luogo di sepoltura suo e della sua famiglia.
La storia di questa chiesa, affascinante sia perché primo esempio di chiesa funeraria familiare a Lucca, sia per la figura del fondatore – Lazzaro Fondora, un self-made man venuto dalle campagne di Sorbano del Giudice, uomo d’affari di gran successo nei due decenni intorno al 1300 – si illuminò di colori inattesi proprio con gli scavi della primavera 2013. Fu allora, infatti, che riapparve, sul lato orientale del San Franceschetto, in corrispondenza di una serie di cassoni sepolcrali compresi nel chiostro conventuale dei Disciplinati, l’iscrizione che segnalava il monumento funerario della famiglia Morla, datata 1348, l’anno della Peste Nera.
I nomi dei Fondora e dei Morla si congiunsero immediatamente in quello di uno dei più enigmatici personaggi femminili della Commedia di Dante: Gentucca.
Nelle parole di Bonagiunta Orbicciani (Purgatorio, Canto XXIV, vv. 34-48) Gentucca è colei che ‘farà piacere’ Lucca a Dante – per il resto poco tenero con la città – durante il suo soggiorno da esule, probabilmente nel 1308. Un po’ in ombra nella Lucca contemporanea, tanto che non è onorata neppure del nome di una strada – la più economica delle commemorazioni – la figura di Gentucca fu al centro di un vivace dibattito filologico che nell’Ottocento, con le ricerche di Carlo Minutoli su Gentucca e gli altri lucchesi nominati nella Divina Commedia, del 1865, portò ad identificarla nella moglie di Bonaccorso Fondora, figlio del Lazzaro fondatore del San Franceschetto, ben nota da documenti dei primi del Trecento. Le ricerche d’archivio del Minutoli confermavano che Gentucca era figlia di Ciucchino dei Morla, un ramo della schiatta degli Allucinghi le cui magioni in Via Santa Croce sono oggi indicate da un’iscrizione.
Quando si è voluto dar conto della genesi e delle trasformazioni del San Francesco, seguendone le vicende architettoniche raccontate dallo scavo tra Duecento e Trecento – dalla fondazione del 1228 allo scorcio finale del Trecento – si è immaginato di percorrerle seguendo il ‘passo di Gentucca’, in una visita ideale al cantiere del San Francesco dopo un itinerario nella città medievale tracciato da trent’anni di ricerche archeologiche.
Occorre premettere che se la vicenda dello scavo si è conclusa come la ‘buona pratica’ vuole, con una pubblicazione di carattere tecnico-scientifico ed una mostra accessibile ad un pubblico più ampio, l’impresa è stata possibile perché la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca ha non solo assicurato la piena disponibilità di risorse per lo scavo e la documentazione, ma anche finanziato le attività sulla massa di reperti indispensabile ad interpretare le stratificazioni e, infine, l’edizione, nelle collane della PubliEd s.a.s., oltre all’allestimento della mostra. La Soprintendenza Archeologia della Toscana, dal canto suo, ha garantito la direzione scientifica di tutte le attività, e, con il personale del Centro di Restauro – in particolare con Araxi Mazzoni e Stefano Sarri – la compiuta leggibilità di reperti frammentari, ceramici e in metallo.
Il 17 luglio 2015 ha dunque potuto salutare, in un rovente pomeriggio, i due eventi che hanno celebrato l’ideale ritorno di Gentucca nel San Francesco del Duecento e del Trecento, un luogo che certamente frequentò, visti gli interessi della famiglia del marito e di quella paterna.
Il volume Il passo di Gentucca. Il San Francesco nel Medioevo: un itinerario archeologico presenta l’immagine ‘archeologica’ di Lucca nel Medioevo – per molti aspetti inedita – visitandone i sobborghi in costruzione oltre le mura romaniche, le botteghe degli artigiani (vasai, tintori, tessitori) e ripercorrendo infine la storia della più drastica cesura vissuta dalla città nella genesi del suo assetto urbano: la costruzione del ‘castello in città’, l’Augusta. In straordinaria anticipazione dei castelli signorili che ancora sono tratto saliente della struttura urbana di città come Milano (il Castello Sforzesco), Ferrara (il Castello Estense), Mantova (il Castello dei Gonzaga), con questo fortilizio affollato di torri che proteggevano i luoghi di gestione del suo potere extra-istituzionale Castruccio Castracani, fra 1327 e 1328, credette di assicurare il suo dominio; fu in effetti – come dichiararono gli Anziani della Repubblica decretandone la demolizione – il ‘nido della tirannide’, occupato di volta in volta da chi si insignorì di Lucca, fino alla ritrovata Libertas del 1370.
Il percorso nella città del Duecento e del Trecento, fra i limiti segnati da questo evento e dal completamento della cerchia di mura romanica, intorno al 1220, si conclude nel cantiere che fu potente polo di riferimento della vita spirituale, ma anche civile e sociale di Lucca: il San Francesco. Lo scavo ha fatto ritrovare nella terra le tracce della fondazione, subito dopo i primi documenti del 1228 sull’attiva presenza di Francescani in Lucca; del rapido completamento della chiesa e delle strutture indispensabili alla vita conventuale, con attività di cantiere che è stato possibile riconoscere anche nelle tracce lasciate dalle impalcature dei ponteggi nel suolo; della costruzione dei complessi dei Disciplinati e del San Franceschetto; infine, degli eventi che riverberano anche negli spazi conventuali le trasformazioni sociali della metà del Trecento.
Se Lazzaro Fondora, ai primi del secolo, faceva erigere la cappella funeraria di famiglia ben al di fuori del covento, sulla piazza su cui prospettava la chiesa, Francesco Guinigi volle esaltare nel 1354 il rapporto fra la sua famiglia e i Francescani innalzando la chiesa funeraria gentilizia – dedicata a Santa Lucia, oggi la ‘Cappella Guinigi’ – entro all’interno del chiostro conventuale, demolendo parzialmente e spezzando la sequenza funzionale dell’ala orientale. Il parallelo con la hybris di Castruccio nello sconvolgere l’assetto urbanistico, in conclamata cesura con ogni tradizione, si impone.
Più sobrio, dichiarato appena da un’iscrizione, è il rinnovamento della sacrestia, dovuto alla famiglia dei Del Testa, avvenuto intorno al 1374, con cui si chiude il primo capitolo della storia architettonica del San Francesco. La datazione dei nitidi volumi, modulari, degli ambienti conventuali delle origini, in coerenza con l’evidenza documentaria, è assicurata dalla ceramica restituita dallo scavo e in particolare dalla maiolica arcaica, con le caratteristiche decorazioni in verde e nero di boccali e scodelle.
Gentucca e il complesso conventuale di San Francesco tra testimonianze letterarie e realtà sepolte: il diverso taglio della mostra è evidente sin dal titolo e dal manifesto che invita chi attraversa i chiostri del San Francesco a raggiungere gli ambienti espositivi realizzati a tergo dell’abside della chiesa.
La sola immagine di Gentucca disponibile nel repertorio iconografico – una cartolina degli anni Trenta dovuta alla mano dell’acquarellista Vincenzo Barsotti – apre un percorso che nel dialogo di pannelli e reperti segue le vicende architettoniche del convento inquadrandole nelle vivaci attività commerciali documentate da ceramiche di importazione – i ‘colori del Mediterraneo’, dei vasai di Sicilia, Siria, Africa Settentrionale, Liguria – e in quelle artigianali. I minuti ‘cappelletti’ in vetro per la macchina tessile inventata dal lucchese Borghesano, intorno alla metà del Duecento, sono un indice archeologico delle manifatture tessili alle quali la città dovette parte non marginale della sua ricchezza.
Un focus particolare è per la maiolica arcaica ritrovata in trent’anni di attività archeologica in città, presentata non solo come filo d’Arianna nelle stratificazioni del Duecento e del Trecento, ma anche come testimone degli scambi di motivi decorativi fra le varie attività artistiche. Temi geometrici documentati su tessuti ritornano negli schemi che campiscono boccali e scodelle, ed una particolare attenzione è dedicata al motivo degli uccelli contrapposti che compare su un bacino dei primi del Trecento dal San Francesco e nelle produzioni tessili contemporanee.
Infine, i costumi sepolcrali, con l’emozionante evidenza della veste di un fanciullo sepolto nel San Francesco, ornata di damasco in filo d’argento e dei bottoni in bronzo (detti maspilli) tipici della moda del Trecento.
Completato il primo capitolo, un altro se ne sta preparando, con la vita quotidiana tra Cinquecento e Settecento raccontate dallo scavo, i Segni francescani. La storia ‘archeologica’ del San Francesco è anche storia di Lucca, ed impegno condiviso è quello di far sì che divenga patrimonio comune.



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