lunedì 27 ottobre 2014

Viaggio tra Rogio e storia

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La storia della fascia di territorio al confine tra i Comuni di Porcari e Capannori, lungo il Frizzone e il Rogio, in età medievale, moderna e contemporanea, è raccontata da una straordinaria massa di fonti documentarie, spesso arricchite da immagini e cartografie di altissima qualità.
L’area lacupalustre del Lago di Sesto – che trae nome dall’Abbazia di Sesto – raggiunge la sua massima espansione nel secolo XI. I documenti di Porcari degli anni Quaranta di questo secolo segnalano paludi anche a nord di Paganico, con il toponimo Aqualunga. La via Francigena, infatti, non segue l’antico tracciato rettilineo della via pubblica romana, e descrive un ampio arco proprio per evitare l’impegnativo ambiente della palude.
A partire dal XII secolo, per iniziativa degli abitanti del Compitese, inizia un’opera di riconquista che, con alterne vicende di avanzata o di regresso della linea di sponda del lago, si conclude con la bonifica degli anni Cinquanta dell’Ottocento, portando all’attuale assetto del paesaggio. La cartografia dell’Archivio di Stato di Lucca offre immagini di questa storia, che inizia con le ‘mappe catastali’ dei primi del Quattrocento e arriva alle minuziose raffigurazioni del Settecento.




La storia della ricerca archeologica nella Bonifica del Lago di Sesto o Bientina è strettamente legata a quella della bonifica d’età granducale (anni Cinquanta dell’Ottocento), che ancora oggi richiede continue opere di manutenzione.
Proprio in uno di questi lavori, nel 1892, emerse il documento più spettacolare dell’età etrusca: una tomba che impiega come contenitore cinerario un vaso di produzione ateniese con decorazione a figure rosse (Teseo e il Minotauro), ed è provvista di un corredo di oreficerie che ne ribadisce la datazione intorno al 470-460 a.C. Grazie al Comune di Lucca, il complesso venne acquisito alle collezioni civiche della città ed è oggi esposto al Museo Nazionale di Villa Guinigi.
Scavi regolari, tuttavia, vengono condotti solo a partire dal 1981, quando si pose per la prima volta il problema di una tutela dell’area archeologica nel suo complesso. La Soprintendenza per i Beni Archeologici per la Toscana, dopo i saggi di accertamento che portarono al primo ampio provvedimento di tutela (1982), si impegnò per un decennio nelle ricerche sul sito del Chiarone, in Comune di Capannori, che testimonia tutta la storia antica di questo territorio, dal 700 a.C. al 250 circa d.C. I materiali sono esposti al Museo Nazionale di Villa Guinigi.





Le aree archeologiche di Fossa Nera, in Comune di Porcari, furono individuate nelle ricognizione condotte negli anni Settanta ed Ottanta del Novecento. La ricerca fu mirata alle sponde dell’antico percorso dell’Auser, perfettamente leggibile in una marcata depressione spesso allagata.
Lo scavo, finanziato dal Comune di Porcari, ha portato alla luce un complesso produttivo eretto nel II secolo a.C. e più volte ristrutturato, fino all’abbandono intorno al 250 d.C. L’edificio era stato fondato in un’area già occupata dagli Etruschi nel V secolo a.C.
Il complesso di Fossa Nera A è un esempio ‘da manuale’ di domus (casa) adattata alle esigenze della vita agricola. Dall’ingresso (fauces) si accede ad un’area scoperta centrale (atrium) che prospetta il ‘cuore’ della vita di relazione dell’abitazione (tablinum) e gli ambienti residenziali (cubicula). Un ambiente è dotato di una particolare pavimentazione che lo rende disponibile all’attività di vinificazione (calcatorium e lacus). Il complesso disposto a sud del corpo centrale riusale ad una ristrutturazione d’età imperiale ed aveva destinazione produttiva – forse come ‘magazzino’ – o a deposito di attrezzi agricoli e bestiame



L’attività di ricognizione e di recupero condotta a Fossa Nera da Augusto Andreotti ha permesso di recuperare, in scarichi di terreno rimossi nel corso degli anni Settanta del Novecento, una massa di materiali che ha consentito di ricostruire il ‘volto’ di un insediamento fiorito intorno al 1200 a.C.
Prima ancora del sistema di insediamenti etrusco, vissuto con fasi alterne dal 750 al 450 a.C., le sponde dei rami sepolti dell’Auser avevano visto già intorno al 1500 a.C. la formazione di abitati ben strutturati, entro aree assistite da fossati, come hanno rivelato gli scavi condotti nel 1995 durante la realizzazione del metanodotto nella località del Palazzaccio, sulla destra del Rogio, in Comune di Capannori.
L’abitato detto ‘di Fossa Nera’ è strettamente legato alla cultura detta ‘terramaricola’ della Pianura Padana occidentale. Si può addirittura supporre che sia stato fondatro da ‘coloni’ provenienti da questo distretto. Ceramiche, bronzi, ambre tratteggiano – nella perdita di tutti i dati stratigrafici – la vita di una comunità attiva sulle vie che dalla Toscana raggiungono l’Emilia, e che scompare nella drammataica ‘crisi del 1200 a.C.’.



Il complesso di Fossa Nera B è il vero e proprio ‘gemello’ di Fossa Nera A, costruito sull’opposta riva dell’Auser: Lo scavo fu voluto e finanziato dal Comune di Porcari e dalla Provincia di Lucca, e si concluse nel 2006 con un’impegnativa opera di consolidamento delle strutture messe in luce.
Come per Fossa Nera A, la storia di Fossa Nera B inizia con la fondazione negli anni della deduzione della colonia di diritto ‘latino’ di Lucca, nel 180 a.C., e si esaurisce con le effimere rioccupazioni del III secolo d.C.
Il cuore dell’edificio è ancora una volta una tipica domus tardorepubblicana, riconoscibile anche sotto la ristrutturazione del I secolo d.C. quando venne anche provvista di adeguate pavimentazioni. La presenza di un angusto vano probabilmente occupato da una scala dovrebbe confermare – assieme allo spessore delle pareti – la presenza di un piano sopraelevato. Gli ambienti residenziali sono integrati in un circuito produttivo che occupa l’intero settore meridionale, con strutture per la vinificazione, la produzione del formaggio e forse dell’olio (con un torcular), disposte intorno ad un vasto cortile, cui si accede da un portone.



L’area residenziale di Fossa Nera B, composta da ambienti in cui è possibile riconoscere il tablinum, posto in asse con l’atrium, una serie di cubicula e – forse – la cucina, ha conservato lembi di pavimentazioni che testimoniano l’adattamento ad un edificio rurale delle tipologie tipiche degli edifici di tono ‘medio’.
In particolare, la pavimentazione in terra battuta dell’atrium, con scaglie e ciottoli policromi disposti secondo un ordito irregolare, emula i pavimenti in tessellato (mosaico) o in battuto cementizio con inserti lapidei policromi, che sono conosciuti anche in edifici urbani di Lucca, e sono in uso dagli inizi del I secolo a.C. fino all’avanzato I secolo d.C.



Una particolare tipologia di pavimentazione è quella detta ‘a commesso laterizio’, che nelle realizzazioni canoniche vede l’impiego di ‘mattonelle’ fittili, di forma geometrica regolare (di solito rombi o esagoni). A Fossa Nera B l’estesa pavimentazione in laterizi – che è stata interrata per esigenze di conservazione – composta da frammenti di tegole, opportunamente ritagliate in ‘tessere’ di forma quadrangolare, come accade anche in altri contesti rurali, realizza il ‘commesso laterizio’ con materiale ottenuto da macerie.




Il Decreto Ministeriale del 3 giugno 1997 che incluse l’area archeologica dell’ex lago di Bientina/Sesto fra le “zone archeologiche” tutelate nella doppia valenza, archeologica e paesaggistica, è uno strumento di salvaguardia per la piana – compresa fra il Monte Pisano, le Cerbaie, l’Autostrada Firenze-Mare – che conserva estesi lembi della rete di paleoalvei del ramo di sinistra dell’Auser/Serchio. La millenaria ‘protezione’ assicurata dalle acque del lago ha permesso a queste testimonianze del paesaggio di giungere sino ai nostri giorni in eccellente stato di conservazione.
Fotografie aeree e satellitari e lo stesso profilo del terreno, con le accentuate depressioni corrispondenti agli alvei fluviali – spesso soggette ad allagamenti – ricompongono infatti il tracciato dell’Auser in età etrusca e romana, prima che le crisi ecologiche dellaTarda Antichità e dell’Alto Medioevo portassero alla formazione del lago, con il caratteristico aspetto palustre ai margini.
Sulle rive del fiume, per più di un millennio, fiorirono insediamenti che sono una preziosa testimonianza della vita rurale d’età etrusca e romana nella Toscana nord-occidentale. Assieme ai resti degli abitati sono conservate anche strutture del paesaggio, come la via etrusca del Botronchio di Orentano, realizzata con un terrapieno e palificazioni.
Dopo che più di un trentennio di scavi – dai primi saggi del 1981 alle indagini del 2012-3 nel Botronchio – ha permesso di ritrovare molte pagine di queste storie sepolte, lo strumento di tutela si propone lo scopo di conservare i resti del paesaggio antico, nell’intreccio fra insediamenti, manufatti stradali e alvei fluviali, all’interno di ambiente strutturato dalla bonifica del XVIII e del XIX secolo. Boschi planiziali di rinnovata vitalità e aree soggette ad impaludamento stagionale, che ospitano flora e fauna sempre più vivaci, completano un paesaggio in cui convivono i segni di quasi tremila anni di storia di una pianura interna della Toscana settentrionale.


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