sabato 14 giugno 2014
Il marmo ed il turchino (fra i fasti dei Buonvisi e il ricordo di Graziella)
Un anno, per ricordare Graziella, nei versi del Fortini che danno date al bianco Buonvisi-Cenami, nozze del 1627, con la Ninfa del Serchio, in un giorno di Pisa, molti amici, qualcuno manca, qualcuno è stanco, molti siamo stanchi. Non solo per il fervore della nuova estate dacché Graziella/Maria Grazia Berti/Mariani ci ha privati del suo garbo e dei suoi consigli. E il suo sapere senza limiti di mari e di fiumi è con noi nelle carte, e non nella sua voce.
Amici, a tratti travolti dai tocchi di colore o di stecca nelle tristi graffite della triste Pisa del Cinquecento, città vinta e sofferente nella Toscana cupa dei Medici, ci allegrano delle loro conquiste di forme e decorazioni, morfologie e sintassi che scandiscono gli anni delle guerre della Repubblica, Francesi e Spagnoli, e dei Granduchi e delle navi che d'Olanda e d'Inghilterra venivano a Livorno, a scaricare e caricare, anche ceramiche lucide dei colori del marmo, bella invenzione delle terre di Toscana, che l'archeologo sfinito vide nel fiore degli anni nelle minuzie di Castel del Bosco e ne fece pagine venticinque anni dopo.
E se certo Graziella avrebbe preferito misure e profili, i Fasti dei Buonvisi sul Marmo del 1510, cappella di San Frediano, e nel Turchino prezioso di Bianco con le foglie i frutti i fiori, e un tocco di giallo, del vasaio degli anni che la Repubblica e le sue famiglie dedicavano a trafficar di panni e d'altro, scrutar storie di eretici d'Oltralpe, seguire imperatori, innalzar torrioni e mura, si spera non le dispiacciano, come nei remotissimi giorni delle soffitte di Villa Guinigi, a lavorare di UHU e d'acqua sui materiali del Palazzo che fu dei Calandrini, e poi dei Buonvisi, Via Sant'Anastasio, Lucca, anno 1985.
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