lunedì 7 gennaio 2013
I colori e i suoni di Umbrina
Si naviga un giorno intero per le terre di Lucca, fra nebbie e cupezze di gennaio, cercando suoni e luci per i muri di cotani dei secoli XI e XII, e al tramonto si ritorna, vent'anni dopo, quasi persi in una periferia senza senso e senza cartelli, al sarcofago della madre badessa di Pontetetto, Umbrina. Suggestione struggente, nel nome e nella forma, dei Romani antiqui – se non questo, cos'altro è Romanico! – in versi fusion di stili linguistici e di sistemi grafici, capitale all'antica e memorie di unciale, per la coeva di Matilde, con vita non celebrata da Donizone, ma da qualche carta e dai segni tracciati nella bianca pietra dei monti di Lucca, anno 1124. Anni e anni ristretti in pochi versi, epigramma non facile che vale cento pergamene di compravendite affitti o affidamenti.
Nelle luci bluastre di una periferia stanca le rime per Umbrina si fondono nelle cifre ottocentesche delle tavole matildine dei Monumenta Germaniae Historica, verde blu rosso, gesti esaltati e ridondanti segni del potere, e risuonano nelle stilature che celebrano i ricorsi di ciottoli sui muri visti dove furono la zecca – sezioni prospetti piante nel limpido tratto di Serena, di Elisabetta, di Maila – e i luoghi del potere indagati nelle luci gialle delle cantine o sotto soli stanchi, scena per gli attori delle miniature di Donizone, marchesi contesse vescovi eccetera, e i loro sgabelli minacciosi di teste ferine.
Altri colori s'aggiungono alla lustra fatimide (o forse di Spagna, ricorda Graziella), che dichiara negli anni di Gerusalemme e del primo Comune quelli delle case costruite a petra et calcina, sale con camino o con solaio, per antica aristocrazia longobarda o nuovi mercanti e artigiani, e della badie benedettine.
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