sabato 26 marzo 2011

Coniglio ligure alla lucchese. Una ricetta del Seicento







Freschezza marina, o cinese, in Bianco e Blu del Seicento, anni di peste, di Ambrogio Spinola e dei Lucchesi che di Fiandra riportavan l'ultima sulle mura, per proteggere la piccola grande amata patria dal tiranno, il Granduca di Firenze, giacché avevano appreso che i liberi figli dell'Olanda calvinista, con scacchiere di città murate e un po' di fanteria, schioppi volanti e picche, potevan sfinire i tercios di Spagna; ed essi erano con loro, a Breda e anche altrove, a capire, dall'altra parte, che cosa è la Libertas. Non l'avrebbero vista sui mari delle Indie, come i tricolori figli dei Paesi Bassi, ma appena appena, sofferta e celata, sotto il segno della Pantera.
Giunge in quegli anni, di Savona o di Albissola, il sottobosco popolato di conigli, eros celato si direbbe, più che annunzio di arrosti o salmì, frutti colti in incontri all'ombra di margherite, in due o tre toni di eleganza sottile e suprema del Blu di Cina o di Delft. Boccale ligure, annuncia la forma, estraneo alle pacchiane protervie policrome dei sudditi del Granduca; l'antica amicizia con l'altra Repubblica, devota altrettanto all'Impero, da vivere nel vino che esalta il Coniglio. Coniglio arrosto, o chissà quale altra ricetta voglia Scappi, per preparare con il Rosso delle Colline Lucchesi, come sotto le margherite in blu, l'intimità dell'eros; ricetta antica, mai insegnata, sempre capita.
Rubens e Velazquez, nella terra di Fiandra, di qua e di là dalle mura dei liberi figli di Olanda, per un boccale ritrovato nelle terre di Lucca, giunto di Liguria.

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