venerdì 8 ottobre 2010

Riflessioni francescane di un archeologo sfinito: excerpta da Luk, 2009, ringraziando le ospitali amiche della Fondazione Ragghianti



È noto che le grandi campagne di rinnovamento urbanistico, se condotte aderendo allo spirito della normativa di tutela archeologica, sono una delle migliori occasioni per recuperare i segni del passato, esaltata anche dalla possibilità di leggere il nuovo volto dei paesaggi urbani nella sequenza di metamorfosi che un tessuto urbano vitale deve necessariamente affrontare, per aderire al contesto sociale e culturale che lo genera e che lo esprime.
Esemplare, in questa prospettiva, è stata la sequenza di interventi che fra 2005 e 2009 ha trasformato il cuore del quadrante nord-orientale di Lucca. L’articolata successione di imprese edilizie che hanno fatto della dismessa caserma Mazzini un complesso cui il grande parco pubblico pensile sul parcheggio sotterraneo conferisce tratti sorprendentemente coerenti all’ala orientale del San Francesco e agli edifici residenziali che ne profilano il prospetto settentrionale, è divenuta anche uno straordinario viaggio nel passato, dall’età romana sino al Settecento e alla vita della caserma ottocentesca. La realizzazione del parcheggio sotterraneo, ad opera della Polis, fra 2005 e 2007, poi il recupero della cosiddetta ‘Stecca’ della caserma come sede dei servizi dell’IMT, attuata dall’impegno diretto della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, infine la costruzione – ancora per opera della Polis – del complesso residenziale in cui si sono rigenerati i volumi dei fatiscenti servizi della caserma, hanno di volta in volta rivelato un limes della centuriazione romana, gli assetti ortivi e agricoli del Basso Medioevo, travolti dalle fosse di coltivazione dell’argilla per le fornaci di Tracchiassi, ai primi del Duecento; e infine gli aspetti ‘di servizio’ – il cellarium e gli Orti – del complesso del San Francesco che tanto ha inciso sulle vicende cittadine, e la loro vita, sino alla trasformazione ottocentesca in caserma.
La massa di materiali emersi e la complessità dei dati stratigrafici in cui si sovrappongono e si intrecciano duemila anni di storia rinviano – come si suol proclamare in questi casi – al compimento di una ‘riflessione’ dai tempi difficilmente precisabili la valutazione analitica delle acquisizioni di quattro anni quasi ininterrotti di impegno sul cantiere; tanto più che se le esigenze dell’attività edilizia dischiudono  allo scavo archeologico risorse adeguate, è dato di fatto quasi acquisito che alla conclusione dei lavori le disponibilità finanziarie si estinguano, e di conseguenza le attività sui materiali – dal semplice lavaggio preliminare alle attività di lettura, per non parlare della documentazione e dello studio – restino affidate al mero volontariato o a quel che sopravvive del senso di responsabilità dell’archeologo di fronte alla comunità scientifica di cui fa parte, sempre meno impellente da quando l’archeologo che opera nelle Soprintendenze è stato messo al margine della stessa comunità. E dunque può accadere che l’apprezzamento di scavi costati centinaia di migliaia di euro finisca per essere compromesso dall’impossibilità di esaminare con la necessaria attenzione le associazioni di materiali e i contesti, e che la semplice proposta di presentare in una struttura ‘museale’ i risultati di tante fatiche e di tanto impegno finanziario anneghi nella ‘mancanza di risorse’.
Sotto questo aspetto il San Francesco di Lucca ha segnato una – seppure assai parziale – eccezione: grazie alla disponibilità della Polis e del Comune di Lucca, dapprima, e poi della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, è stato possibile almeno intervenire sulla selezionatissima parte dei materiali essenziale per l’inquadramento cronologico dei principali contesti di scavo, e proporre al pubblico di Lucca, in due mostre tenute negli spazi messi a disposizione dell’archeologia cittadina dal Comune, nel deposito della ex caserma Lorenzini (o, per meglio dire, dell’antico complesso del San Domenico) i momenti nodali della storia degli Orti del San Francesco: l’assetto suburbano d’età augustea; le vicende dei ‘giardini sepolti’ del San Francesco, dal Trecento al Settecento.
Un corposo resoconto dello scavo nell’area della Stecca, infine, è stato ospitato nel volume Il complesso conventuale del San Francesco in Lucca, in cui l’analisi dei contesti stratigrafici e delle strutture ha potuto far conto sulle attività condotte sui contesti di scavo nel corso dei lavori.


[1] I giardini sepolti. Lo scavo degli Orti del San Francesco in Lucca, a cura di G. Ciampoltrini, Lucca 2005; Ad limitem. Paesaggi d’età romana nello scavo degli Orti del San Francesco in Lucca, a cura di G. Ciampoltrini, Lucca 2007. I testi sono disponibili in rete, all’indirizzo http://www.segnidellauser.it/giardinisepolti
[2] Il complesso conventuale di San Francesco in Lucca. Studi e materiali, a cura di M.T. Filieri e G. Ciampoltrini, Lucca 2009, cui si rinvia per ogni riferimento. Una sintesi del dato archeologico in http://www.segnidellauser.it/sanfrancescodilucca.

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