venerdì 13 novembre 2009

Pensieri d'autunno: la sepoltura murata di San Martino in Colle a Capannori







Capannori (Lu), la ‘sepoltura murata’ nella chiesa di San Martino in COLLE

Nel variegato panorama dell’archeologia d’età moderna e contemporanea nella Toscana nord-occidentale, il contributo dell’archeologia funeraria si sta facendo sempre più consistente. L’esplorazione di aree sepolcrali e l’indagine sulle ‘sepolture murate’ in uso negli edifici ecclesiastici fra Cinquecento e Settecento non stanno solo fornendo importanti dati antropologici, ma permettono anche di sottoporre alle verifica archeologica le informazioni documentarie su usi e riti funerari in questi secoli; infine, i ‘segni della devozione’ – rosari, crocifissi, medaglie devozionali – restituiti dallo scavo fanno rivivere con efficacia il mondo della devozione popolare.
Un’analisi complessiva dei dati disponibili, almeno al livello regionale, sembrerebbe ormai matura, e imposta dal continuo accrescersi dell’evidenza archeologica. Dopo l’esemplare e pionieristica presentazione dello scavo della sepoltura murata di Alica, nel 2002, in effetti, i scavi e pubblicazioni di sepolcreti del XVI, XVII, XVIII secolo si sono moltiplicati. Per rimanere in questa parte della Toscana, basterà accennare ai complessi di San Salvatore a Vaiano, nel territorio di Prato, di Soiana, in Valdera, di Lucca, Orti del San Francesco, e alla presentazione finale dello scavo delle strutture funerarie della chiesa di Santa Chiara a Castelfranco, nella mostra ‘Castelfranco di Sotto fra Cinquecento e Settecento. Un itinerario archeologico’, aperta nella struttura museale ricavata nella chiesa stessa (sintesi e bibliografia in Ciampoltrini, Manfredini 2007, pp. 65 ss.).
Nel maggio-giugno 2007 un intervento legato ad esigenze diagnostiche e all’attività di tutela ha offerto altrettante occasioni di documentare i riti funerari d’età moderna e contemporanea nell’antico territorio della Repubblica (e poi Ducato) di Lucca, e di cogliere con l’impressionante evidenza del dato archeologico l’evoluzione dei costumi funerari imposta dalle legislazioni di matrice illuministica, tra fine del Settecento e primi dell’Ottocento.
La chiesa di San Martino in Colle, posta sul confine tra Repubblica e Granducato, tanto che a lungo la sua torre campanaria fece parte del sistema di avvistamento sui confini lucchesi, è stata oggetto nel maggio-giugno 2007 di una serie di saggi diagnostici, voluti e finanziati dalla Parrocchia e mirati ad acquisire indicazioni sulle condizioni dell’edificio, in cui si stanno manifestando drammatici segni di cedimento strutturale; i saggi si sono dunque concentrati dapprima sulle strutture perimetrali meridionale e orientale, per poi proseguire all’interno, dove è stata messa in luce e scavata integralmente una sepoltura murata (fig. 1).
L’attuale situazione di fragilità strutturale ripete eventi già accaduti nella complessa storia dell’edificio, fondato nel secolo XI, trasmesso nel 1089 ai Benedettini di Polirone e infine, nel 1512, agli Agostiniani della Congregazione di San Salvatore.
Come attestano i documenti raccolti da Aldo Franceschini, che ne sta curando l’edizione (Franceschini c.d.s.), nel 1577 la Compagnia della Natività della Vergine Santissima, fondata dalla comunità di San Martino in Colle, ottenne di poter costruire un oratorio a ridosso della chiesa, che dovette essere dotato anche di camere sepolcrali, se almeno dal 1675 è ricordata come pratica corrente la deposizione dei defunti proprio in questo oratorio. Nel 1777, come suona un atto della Compagnia, «minacciando rovina le mura, il tetto, l’altare del sopradetto Oratorio» fu progettato un integrale lavoro di restauro, che finì tuttavia per sovrapporsi al rifacimento dell’intero edificio.
L’iscrizione collocata nell’esterno dell’abside, esibita da due putti, dichiara infatti che la chiesa fa ampliata nel 1801, e dunque anche il tessuto lapideo dell’abside, dall’aspetto squisitamente romanico, è ottocentesco, probabilmente frutto di un sistematico smontaggio e rimontaggio delle strutture medievali.
La storia della ‘sepoltura murata’ della Compagnia può oggi essere letta, oltre che nei documenti dell’archivio parrocchiale, anche nello scavo sistematico condotto nella scorsa primavera.
Il crollo parziale della volta in mattoni giaceva su un livello di terra mista a resti umani selezionati con un precisi criteri, e distinti in due settori da un sottile tramezzo in laterizi: sul lato occidentale, addossati in particolare alla parete, i crani (in alto); nel settore centrale della sepoltura ossa lunghe; nella cella minore, ricavata sul lato orientale, di nuovo, soprattutto crani (a sinistra). Naturalmente la selezione, per quanto evidente, non dovette essere rigorosa, e dunque nel terriccio in cui erano collocati i crani erano finiti anche altri resti ossei, oltre agli oggetti devozionali e a resti dell’abbigliamento (in particolare bottini in bronzo).
Allo stato attuale dell’indagine, si dovrebbe ipotizzare che la sistemazione dei resti umani emersa nello scavo fu disposta a seguito dei lavori di restauro che sono testimoniati dalle sequenze strutturali leggibili nelle pareti (fig. 2).
La parete occidentale e i tratti occidentali delle pareti meridionale e settentrionale sono costruiti in ciottoli e bozze di pietra legati da malta grigiastra, stesa fino a coprire i giunti, e quindi con una parziale intonacatura delle superfici (tecnica A); la pavimentazione sulla quale erano stati posti i resti umani, in mezzane, è collegata a questa fase edilizia.
Ben diversa è la tecnica del settore orientale della sepoltura murata: ciottoli e bozze di pietra, misti a qualche frammento laterizio, sono legati con scarsa malta, che lascia i giunti ben visibili (tecnica B); l’area collegata, chiusa anche dal tramezzo laterizio, è pavimentata da un semplice battuto su terra.
La comune adozione della cosiddetta ‘maniera moderna’ di costruire, fondata sull’impiego di materiale eterogeneo per natura e pezzatura, con la solidità della struttura affidata essenzialmente alla malta tenace e abbondante, e che anche a Lucca è di impiego pressoché generale almeno dal XVI secolo – anche per la grande disponibilità di materiale da demolizione reimpiegabile – si manifesta quindi in due versioni facilmente riconoscibili.
Una terza variante è applicata nel settore centrale del lato meridionale, dove un’esteso varco nel tessuto murario in tecnica A è sanato ricorrendo a filari di laterizi (di reimpiego) fra cui si intercala una specchiatura che adotta la tecnica B; alla base è ricavata nell’ordito dei laterizi un’apertura che immette in una canalizzazione non ancora esplorata. Un’identica apertura è costruita con spallette e copertura in laterizi allo spigolo nord-orientale della camera sepolcrale.
Lo stato dell’indagine di scavo, che è stato sospeso per procedere con priorità assoluta alle opere di consolidamento, dissuade dall’avanzare proposte risolutive sulla sequenza e la cronologia assoluta delle fasi evidenti nel tessuto murarie.
Come ipotesi di lavoro, tuttavia, da verificare proprio nel proseguimento dell’indagine, si potrebbe riferire la tecnica A alla costruzione della ‘sepoltura murata’, collegata all’erezione dell’oratorio o a un suo adattamento all’impiego sepolcrale per i membri della Compagnia della Natività, e quindi fra lo scorcio finale del Cinquecento e i primi del Seicento.
La tecnica B potrebbe invece essere attribuita ai restauri dello scorcio finale del Settecento, quando si provvide all’integrale rifacimento del tratto orientale dell’edificio, crollato o in stato di fatiscenza, che poté assumere anche la forma di un – sia pur modesto – ampliamento; in questa circostanza la camera sepolcrale potè essere dotata anche di ‘sfiatatoi’, che la mettevano in collegamento con l’esterno (sul lato meridionale) e con la seconda camera, da cui era distinta da un tramezzo. Anche la volta che copriva l’intera camera dovette essere ricostruita in questo momento, sostituendo la più antica, di cui rimane solo l’imposta sulla parete occidentale della camera. In questa volta doveva essere ricavata anche l’apertura che permetteva di scendere nella ‘sepoltura murata’ con i due scalini formati da blocchi di pietra aggettanti dalla parete.
Fu forse in questa circostanza che si provvide anche alla risistemazione dei resti umani già accolti dalla camera sepolcrale, selezionando, con un evidente carattere simbolico, teschi e ossa lunghe. La cronologia parrebbe coerente con il fatto che su questo piano non vennero collocate altre deposizioni: come attestano ancora una volta i documenti, a partire dal 1808 venne usata per le deposizioni l’area esterna alla chiesa.
Anche gli oggetti devozionali sembrano concordi nel riferire i resti umani della camera a deposizioni databili fra lo scorcio finale del XVII e il XVIII secolo.
Se lo splendido crocifisso, restaurato da Bettina Lucherini, originariamente applicato su una croce in legno, nel pathos del volto richiama stilemi tardobarocchi (fig. 3), la cinquantina di medaglie devozionali, in bronzo o in ottone, restituite dallo scavo potrà documentare – quando se ne sarà completato il restauro, appena avviato – soggetti, temi iconografici, cifre stilistiche che attivissime officine combinavano per rispondere alle esigenze dei membri della Compagnia della Natività di San Martino in Colle di veder rispecchiato nell’ultima dimora terrana il punto centrale della loro devozione.
Ovviamente prediletta è l’associazione fra il Cristo e la Madonna, che si manifesta tuttavia in forme articolate: il Figlio di Dio può essere il Volto Santo venerato nel San Martino di Lucca (fig. 4), abbinato ad una delle più amate fra le iconografie mariane del Seicento e del Settecento, la Madonna di Loreto; il tipo è attestato anche a Vaiano, e a Soiana, per rimanere nei contesti di scavo recente di questo territorio.
Forse è proprio il carattere squisitamente mariano della Compagna a esaltare la presenza dell’immagine di Loreto, associata al monogramma cristologico, e, spesso, ai santi oggetto di vasta devozione fra Sei- e Settecento: San Francesco e Sant’Antonio (San Francesco è reso con il tipo impiegato su una faccia di una serie di medaglie della Madonna di Guadalupe datate al 1682, a dimostrazione della facilità di combinazione di soggetti); Sant’Agostino (in basso a destra: si ricorderà la presenza degli Agostiniani in San Martino); San Pietro d’Alcantara, proclamato santo nel 1669; San Venanzio, particolarmente venerato dopo che fu gli fu dedicata una chiesa in Roma, ai piedi del Campidoglio, nel 1670, e invocato contro le cadute, dagli alberi o da cavallo; San Cristoforo. Come accade di frequente, le medaglie devozionali possono essere ricordo di pellegrinaggi: l’associazione fra San Pietro e la Porta Santa potrebbe appunto ricordare un pellegrinaggio giubilare a Roma, nel corso del Settecento.
Una splendida medaglia che associa la Sacra Famiglia alla famiglia di Maria (fig. 5) sembra la più adatta a rammentare il titolo dell’Oratorio, anche se la Sacra Famiglia è soggetto comune in questi contesti devozionali (si veda la Sacra Famiglia in basso, associata ad un’immagine di santo in preghiera in cui potrebbe essere riconosciuto San Carlo Borromeo).

GIULIO CIAMPOLTRINI, CONSUELO SPATARO

Riferimenti bibliografici

CIAMPOLTRINI G., MANFREDINI R. 2008, La chiesa di Santa Chiara a Castelfranco. I saggi 1991, in G. CIAMPOLTRINI, R. MANFREDINI (a cura di), Castelfranco di Sotto fra Cinquecento e Settecento. Un itinerario archeologico, Bientina, pp. 55-74.
FRANCESCHINI A. c.d.s., San Martino in Colle

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