lunedì 30 novembre 2009
Le mura di Lucca: testi smarriti fra Lucca e Nanchino, celebrando il mitico «NotSBAT»
Un testo scritto per nulla, negato alle stampe, che voli sul web ...
Giulio Ciampoltrini
Archeologia delle mura di Lucca
«Via eundi et redeundi per murum civitatis nunc compositum iuxta murum Orti Sancti Fridiani versus pontem sancti Quirici»: un documento del 5 aprile 1198 (Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico. San Frediano, 1198, apr. 5) tra le clausole del contratto di allivellamento di una casa di proprietà della chiesa di San Giovanni in capite burgi prevede il diritto di transito – per uomini e animali, come si specifica – «lungo il muro cittadino ora costruito presso il muro dell’Orto di San Frediano verso il ponte di San Quirico». È nell’avverbio che il documento si rivela un preziosissimo punto di riferimento per ricomporre la storia delle cerchie di mura di cui Lucca si è dotata: nunc, ‘ora’, perché le mura di cui si parla sono altra cosa rispetto alle mura ‘vecchie’, le mura romane su cui il Comune aveva fatto affidamento ancora per tutto il XII secolo.
Il decennio finale del XII secolo è turbinoso di eventi, per la vita esterna e interna della città, la cui crescita è insieme demografica, di monumenti, di ambizioni e di contese interne, con la crisi del potere imperiale seguita alla morte di Enrico VI (1197) a fare da detonatore.
Non sembra affatto casuale che la compositio – per citare il termine latino ‘di riferimento’ – di un nuovo apparato di mura per la città appaia nei documenti proprio subito dopo la morte dell’imperatore. Da qualche anno la città aveva superato, almeno nelle disposizioni amministrative, l’antico confine giuridico (e psicologico) delle mura romane, tracciando un percorso difensivo, formato da un fosso e un terrapieno (la carbonaria), forse poco rilevante come struttura poliorcetica, ma risolutiva per la definizione di un nuovo, e assai più ampio, spazio urbano che inglobava i ‘borghi’ cresciuti lungo le vie che uscivano dalla città, subito al di fuori delle porte: le asciutte Gesta Lucanorum – una sintesi cronachistica dei principali eventi della città comunale – ricordano sotto l’anno 1188 proprio la costruzione delle ‘carbonaie’, immediatamente citate come punto di riferimento topografico essenziale degli spazi urbani anche nei documenti privati (Ciampoltrini 2002, pp. 87 ss.).
Alla scelta della città di acquisire il pieno controllo del suo comitatus, e di proiettarsi negli scenari politici regionali – e non solo regionali – occorreva evidentemente un solido fondamento: la sicurezza di quegli spazi urbani in cui era radicata anche la forza del populus, in campo aperto assai meno efficace dei milites (i ‘cavalieri’), ma difficilmente superabile se poteva affiancare alla massa della fanteria il sostegno di potenti e solide mura in cui rifugiarsi, fiaccare gli assedianti, attendere soccorsi da altre città alleate.
Dopo il 1198, in effetti, le cronache cittadine ricordano scontri fra fazioni (di quartieri e interne), e, infine, un documento del 1206 fa luce sulle motivazioni squisitamente politiche della costruzione delle nuove mura: il 7 agosto 1206 le compagnie dei fanti cittadini (societates pedonum) si impegnano ad un vero e proprio ‘sciopero fiscale’ se il Comune non si deciderà a completare la nuova cerchia di mura.
Il successo dei pedites, espressione militare del populus, è assicurato, come appare dal fatto che nel giro di un decennio l’opera delle seconde mura è completata. La città comunale, intorno al 1220, si presenta dunque dotata di una cerchia turrita, tutta di pietra all’esterno, di laterizi all’interno, in cui si aprono porte di schietta tradizione ‘antica’ – ‘romaniche’ nel senso pieno del termine – tanto che è forte la suggestione di cogliervi l’eco, forse la più significativa, del ‘recupero dell’antico’ che anche Lucca conosce fra XII e inizi del XIII secolo (Ciampoltrini 2002, pp. 92 ss.).
A questa storia, ricostruibile dall’intreccio di documenti privati e fonti cronachistiche, l’indagine archeologica ha offerto un commento ‘visivo’ nel 2006, con i lavori di restauro ad un tratto delle mura nell’area cittadina cui faceva cenno il documento del 1198, «iuxta murum Orti Sancti Fridiani versus pontem sancti Quirici».
Nel pieno rispetto della cultura del restauro filologico, l’opera di recupero del tratto di mura compresa tra la Piattaforma San Frediano e il Baluardo Santa Croce (fig. 1), promossa dall’Amministrazione Comunale di Lucca, è stata preceduta – dall’autunno del 2006 – da una serie di saggi diagnostici, per la valutazione del tessuto murario e delle fondazioni che, eseguiti con rigorosi criteri stratigrafici da un gruppo di archeologhe coordinato – sotto la direzione scientifica dello scrivente – da Elisabetta Abela, sono divenuti vera e propria opera di scavo, e hanno consentito di cogliere la genesi di questo tratto della cerchia rinascimentale.
Quando a partire dal Cinquecento si decise di superare il composito ordito di mura medievali, fortificazioni trecentesche, torrioni quattrocenteschi cui la città confidava per tutelare la sua libertas dalle minacce dei Medici, in questo settore – come per buona parte del tratto nord-occidentale – le mura medievali furono conservate, con minimi adeguamenti, come paramento esterno del potente terrapieno adatto ad affrontare i nuovi strumenti di guerra: le armi da fuoco. Lo scavo del 2006 ha rivelato che, come traspare dai documenti, la struttura medievale fu eretta non senza rifacimenti e ripensamenti, in parte dovuti alla durata dei lavori (comunque inferiore ai venti anni), in parte forse a sollecitazioni esterne.
Il primo impianto delle mura, probabilmente quello cui allude il documento del 1198, è infatti costruito quasi sul letto del ramo del Serchio che da sempre lambiva le mura settentrionali della città, affidato alla combinazione di opere in muratura e di casseforme in legno, integrate da palificazioni (fig. 2), funzionale proprio alla costruzione in ambienti ‘umidi’. Pur con questi accorgimenti, tuttavia, la struttura dovette subire qualche cedimento, tanto che, quando si giunse a completare l’opera, non solo si provvide al recupero del materiale lapideo disponibile, limitandosi a trasformare i resti della prima costruzione in fondazione della seconda, ma si doveva anche essere determinata un’evoluzione nelle tendenze architettoniche: il torrione angolare della prima fase costruttiva, infatti, è poligonale, la torre della seconda – rasata nell’adeguamento rinascimentale – semicircolare (fig. 3), come l’intera sequenza di torri (isolate o di fiancheggiamento delle porte) che si innestava nella cerchia romanica, ed è straordinariamente apprezzabile nell’iconografia quattrocentesca, in particolare nelle miniature delle Cronache del Sercambi (Iconografia 1998, pp. 43 ss., nn. 1-15).
Lo scavo del 2006, seppure condotto con i metodi progressivamenti affinati dell’indagine archeologica, non è che uno degli ultimi episodi di quel connubio fra ricerca – antiquaria o archeologica – e ‘vita’ dell mura – dapprima con la costruzione, poi con la conservazione – che a Lucca è possibile seguire fin dal Cinquecento, quando la grande impresa di dotare la città del nuovo volto di mura andò di pari passo con la ricerca sui circuiti difensivi che l’avevano preceduta.
Il documento più fascinoso di questo lavoro, in cui si combinano indagini d’archivio e ricerche ‘sul campo’, è certamente la carta dei vari tracciati delle mura che un anonimo stese fra 1563 e 1565 (fig. 4; da ultimo Iconografia 1998, p. 54, n. 34), ma è nelle memorie degli eruditi lucchesi della fine del Cinquecento e dei primi del Seicento che si apprezza la ‘modernità’ di un metodo che a Lucca si affina anche grazie alle scoperte archeologiche vere e proprie (Ciampoltrini 1995, pp. 5 ss.).
Un passo del Penitesi, con Daniello de’ Nobili il miglior esponente di questa scuola, presto dissoltasi, permette di apprezzare il contributo che questo aspetto della cultura lucchese del Tardo Rinascimento assicura ancora oggi alla ricerca archeologica, con il ‘resoconto’ di un ritrovamento del 1613 (Ciampoltrini 1995, pp. 22 ss.):
«Abbattendoci noi nel secondo Horto de’ Frati Gesuati di S. Geronimo, mentre che si cavavano certi fondamenti molto à basso, di Pietre Tuffi, trovammo che i Muratori avevano fra essi tratta fuori una Lapide di finissimo marmo, ma troppo frangibile, la quale conteneva la seguente Inscrittione romana antica, e per inavertenza venne loro spezzata, ma raccolti et uniti insieme i pezzi, ricopiammo le lettere nel miglior modo, che ci fu possibile. Contenevano dunque
LUCEN. CIV. SUB PROBO
IMP. AUG. M. AUR. LAEV.
PROCOS. INTRA. GALLIAS
ENSIUM FAB RETENTURAE
IUSQU. COH. PR. LEGENDAE
MOEN. REST. A DUO LAT.»
Il resoconto del Penitesi, integrato con l’indagine ‘parallela’ di Daniello, ha infatti permesso di recuperare almeno il ‘senso’ della perduta iscrizione posta a celebrare un restauro delle mura che tutto autorizza a credere sia stato eseguito durante gli anni di Probo (276-282), quando l’antica cerchia di mura di cui la colonia Latina, fondata nel 180 a.C., si era dotata, dovette essere adeguata alle nuove esigenze poliorcetiche, e al ruolo che la città acquisiva nel sistema difensivo dell’Italia (da ultimo Ciampoltrini 2007 a, pp. 15 ss.).
Dalla fondazione all’assedio di Narsete: le mura di una città romana
Sono state proprio le pagine – purtroppo ancora ampiamente inedite – dei Discorsi di Daniello de’ Nobili a proporre, fin dai primi del Seicento, il punto di partenza per una ricostruzione del tracciato delle mura romane che rimane ancora sostanzialmente valido, con coincidenze di metodo fra l’indagine dell’antiquario seicentesco e quella – rimasta fondamentale – di Paolo Sommella e Cairoli Giuliani che negli anni Settanta del secolo scorso, dopo le ricerche di Antonio Minto, ha portato di nuovo all’attenzione dell’indagine archeologica il tema dell’urbanistica di Lucca romana (Ciampoltrini 1995, pp. 5 ss.).
Anche le recentissime acquisizioni sull’apparato difensivo della porta occidentale, disegnata dalla sequenza di opere di scavo che fra 2002 e 2003 hanno interessato interrati in Via Santa Croce, in effetti, non hanno permesso che di puntualizzare aspetti particolari dell’apparato del II secolo a.C., dimostrandone il compiuto radicamento nella tradizione ellenistica, con la porta ‘a cavedio’ provvista di torri laterali di fiancheggiamento, affermata in Italia già fra IV e III secolo a.C.
Decisamente più ‘rivoluzionaria’, anche per dissuadere dalle conclusioni basate su meri argumenta ex silentio cui talora gli archeologi indulgono, è stata la scoperta della torre innestata sul circuito tardorepubblicano, esplorata nel tardo inverno 2008 in lavori eseguiti fra Via Guinigi e Via dell’Angelo Custode (fig. 5).
Anche chi scrive, in effetti, sulla scorta della sola torre del circuito romano sin qui concretamente apprezzabile, nell’area del San Girolamo (fig. 6), aveva ritenuto (Ciampoltrini 2007 a, pp. 15 ss.) che la cerchia muraria tardorepubblicana non fosse provvista di torri, e che anche le due descritte dal Minto – ancora in aderenza all’antiquaria seicentesca – nel tratto sud-orientale del circuito, dovessero essere assegnate al rinnovamento del III secolo, o più genericamente tardoantico. La scoperta del marzo 2008 impone un drastico ripensamento di questo modello, e propone piuttosto per la Lucca del II secolo a.C. l’aspetto di una turrita piazzaforte, in piena consonanza con il ruolo che la città-fortezza doveva svolgere a tutela di un inquieto territorio di frontiera dell’Italia romana.
Altrettanto enigmatici sono i rifacimenti d’età augustea, che sondaggi diagnostici, fra 2000 e 2007, hanno delineato nell’area di Palazzo de’ Nobili, nel tratto settentrionale, e del San Girolamo, in quello meridionale. La centralità delle mura nel qualificare il decoro e il tono urbano, particolarmente di una colonia, come Lucca torna ad essere in età augustea ‘accogliendo’ i veterani delle legioni XXVII e VII, dedottivi da quel L. Memmius C.f. di cui ci è fortunamente giunta l’iscrizione funeraria, sarebbe da sola sufficiente a motivare i restauri, ma si è anche sottolineato il ruolo nel ‘controllo interno’ del territorio che le coloniae triumvirali e augustee dell’Etruria settentrionale sono chiamate a svolgere, e che nell’efficace cerchia in laterizio di cui la più vitale fra queste – Florentia – è immediatamente apprezzabile (Ciampoltrini 2007 b, pp. 14 ss.).
Già si è accennato che i frammenti di iscrizione ritrovati nel 1613 nell’area del San Girolano sono stati un vero e proprio ‘filo d’Arianna’ per focalizzare l’opera di recupero delle mura tardorepubblicane (con i restauri augustei, come si è appena detto), condotta a partire dallo scorcio finale del III secolo d.C., che l’indagine di scavo dell’ultimo decennio ha consentito di apprezzare in vari punti del circuito, dall’area Galli Tassi a quella di Corso Garibaldi (Ciampoltrini 2007 a, pp. 15 ss.).
In questa veste, con nuove torri che integravano il ruolo di quelle tardorepubblicane, anche con gli apparati per accogliere macchine belliche spettacolarmente leggibili nella superstite torre dell’area del San Girolamo (fig. 6), le mura di Lucca affrontarono uno dei pochissimi episodi bellici della storia cittadina. Non è un paradosso che una città che delle mura ha da sempre fatto l’elemento nodale della vita cittadina, abbia nella storia conosciuto pochissimi assedi: deterrenza e dissuasione sono ovviamente lo scopo primario di qualsiasi struttura difensiva.
Nel 553 la città fu chiamata però a svolgere un concreto ruolo ‘stretegico’, a tutela delle residue posizioni gotiche in Italia, e fu investita dall’esercito bizantino che tentava di completare, agli ordini di Narsete, la riconquista dell’Italia. Il difficile greco di Agathias (I, 16-17) rende poco appetibile la lettura dell’intreccio di minacce e blandizie che gli assedianti escogitarono per indurre alla resa i Goti e i Franchi loro alleati arroccatisi dentro le mura, ricorrendo solo da ultimo all’impiego di macchine da guerra, per aprire un varco nelle mura. L’assedio si concluse infine con una negoziato, come spesso accadde nella guerra ‘greco-gotica’ narrata prima da Procopio e poi da Agathias, condotta da sparute soldatesche in paesaggi urbani e rurali desolati dalla crisi demografica della Tarda Antichità, acuita infine dalle pestilenze e da catastrofici eventi climatici dei decenni centrali del VI secolo, cui l’immiserito tessuto sociale poteva far fronte solo ricorrendo a vescovi taumaturghi, come Frigdianus (San Frediano), a Lucca.
Tuttavia, è possibile che le helepoleis mechanai – le ‘macchine distruggicittà’ – impiegate dalle soldatesche di Narsete abbiano prodotto nelle mura le lacune, sanate con un eterogeneo impiego di ciottoli di fiume e pietrame di recupero, nella tradizione tecnica tardoantica, che sono apparse in uno scavo condotto nel gennaio 2005 sul lato occidentale delle mura (fig. 7), indiziato di essere lo scenario principale dell’attacco del 553 anche per il ritrovamento, seicentesco, di un ripostiglio monetario del VI secolo (Ciampoltrini 2007 a, pp. 42 ss.).
Fra archeologia e documenti: le mura di Lucca nel Medioevo
Tutto fa credere che i restauri succeduti alla conquista bizantina di Lucca abbiano invitato i primi Longobardi calati in Toscana dopo l’arrivo di Alboino e dei suoi in Italia (568), a fare della città la loro principale piazzaforte a sud degli Appennini, ‘chiave’ di quel percorso verso Roma che rimarrà elemento cruciale – e irrisolto – della politica del Regno longobardo fino alla sua scomparsa. Se avevano sostanzialmente resistito anche alle tecniche poliorcetiche delle truppe bizantine, raffinate dalla secolare tradizione romana e ancor più dall’esigenza di ovviare all’esiguo potenziale numerico della truppa, le mura di Lucca potevano garantire il punto d’arrivo in Toscana della via ‘da Lucca a Parma’, disegnata dagli Itineraria tardoantichi, che genererà, con un processo lungo e complesso, la via Francigena. Concepito fra III e IV secolo per assicurare i rifornimenti al sistema difensivo romano dell’Italia settentrionale e per sbarrare le vie di penetrazione verso Roma, questo percorso tracciato, formato da spezzoni di antiche vie, diveniva ora un sicuro asse per raggiungere il ventaglio di vie che da Lucca si aprono in Toscana e verso Roma.
Ancora una volta, dunque, Lucca deve alle sue mura – alle mura in opera quadrata degli anni della fondazione, rinnovate nella Tarda Antichità – il ruolo peculiare, di città ducale e marchionale, che svolge sino all’XI secolo, tappa sicura nei viaggi di re e imperatori attraverso l’Appennino. Senza nemici, senza assedi, le mura non sembrano neppure richiedere particolari opere di manutenzione.
Come si è visto, l’inadeguatezza del circuito murario romano non sembra dovuta all’esigenza di proteggere i sobborghi, quanto conseguenza di valutazioni politiche: anche la città longobarda sviluppa vivaci sobborghi, ma questi restano ‘aperti’, e manca, anche nelle fonti documentarie, qualsiasi accenno a strutture difensive. La città comunale, invece, sembra sentire con crescente ansia l’esigenza di un apparato difensivo che inglobi i sobborghi, divenuti essenziali alla vita pubblica – si direbbe – non solo per il potenziale demografico ed economico che accolgono, ma anche per gli equilibri nella vita politica interna che sono in grado di condizionare: la compiuta integrazione nella società cittadina, anche con il ‘fisico’ strumento delle mura, diviene essenziale e si esprime dapprima nella forma ‘giuridica’ del circuito delle carbonaie, e poi nella costruzione delle mura vere e proprie.
Le mura ‘romaniche’ propongono ancora oggi un aspetto non marginale del volto della città: i lunghi tratti inglobati nel settore settentrionale della cerchia rinascimentale, le porte di San Gervasio e dei Borghi danno un’eccellente idea del volto della città fra Due- e Trecento, con l’ampio letto dei fossi che faceva della città una vera e propria isola fluviale, e che è minuziosamente riprodotto nelle miniature del Sercambi. Il recupero del tracciato delle mura dei primi del Duecento, tuttavia, è anche opera dell’indagine archeologica, che – come per le mura romane – ha integrato i tratti superstiti, o documentati nelle fonti medievali e rinascimentali, in una sequenza di acquisizioni talora in grado di aprire insospettati squarci di luce sulla città medievale.
Se già Daniello de’ Nobili aveva raccolto documenti essenziali per la postierla che alla Fratta integrava, sul lato occidentale, il ruolo delle due porte maggiori (di San Gervasio e di Santa Maria, detta dei Borghi), e il cartografo cinquecentesco l’aveva indicata (fig. 4), all’indagine archeologica è toccato il compito di portarla in luce, nel 1989, sotto Palazzo Boccella alla Fratta (Ciampoltrini 2002), e di definire quella sottile dialettica fra conservazione e spoliazione delle mura medievali sulla quale si fondano aspetti dello sviluppo urbano, intramuraneo, che fra la seconda metà del Cinquecento e i primi del Seicento è indotto dalla costruzione della nuova cerchia: il quartiere rinascimentale, con settori riservati a palazzi gentilizi e altri destinati all’edilizia popolare, che si snoda con una progettazione urbanistica esemplare dal San Francesco sino all’altezza del San Martino nasce dalla demolizione delle mura medievali.
Gli scavi di Palazzo Arnolfini prima (1998-2000: Ciampoltrini 2002) e di Palazzo Poggi più di recente (2006-2007), in particolare, hanno rivelato i diversi ‘modi’ dell’edilizia rinascimentale, che trova nelle mura medievali un’imponente ‘cava’ di materiale da costruzione: questo è il destino sia dei blocchi del paramento esterno, che dei laterizi di quello interno, e dello stesso ciottolame della massa cementizia delle mura, se queste non sono riutilizzabili come fondazione dei nuovi edifici. A Palazzo Poggi, tuttavia, almeno una parte delle strutture medievali viene risparmiata, e sepolta sotto i potenti livellamenti (fino a 2-3 metri di spessore) che consolidano il terreno, in particolare in corrispondenza del fossato esterno; sondata nel 2006, conserva – in un settore delle mura in cui l’indagine di scavo ha dimostrato la rigorosa qualità del rilievo che ne fu dato dagli agrimensori che progettarono l’impianto del quartiere rinascimentale – una postierla pressoché ignota anche ai documenti medievali, e la via che ad essa conduceva (figg. 8-9: Ciampoltrini 2007 c, pp. 95 ss.).
Nella sequenza di tamponamenti e di rimaneggiamenti subiti, la postierla, che doveva condurre all’area suburbana del San Colombano, e al monastero che vi sorgeva, diviene immagine esemplare della storia di un monumento tanto significativo per la società comunale che lo volle con determinazione, quanto rapidamente trasformato da nuove esigenze strategiche: il lato orientale delle mura duecentesche, che integrava le porte monumentali con due postierle, preparando un’espansione extramuranea con sobborghi che presto richiederanno nuovi apparati difensivi, nella cerchia rinascimentale è completamente chiuso.
Il vivace borgo che dalla porta orientale della città romana, poi da quella medievale di San Gervasio, era cresciuto lungo l’antica via che portava a Firenze, accoglie ora palazzi gentilizi, ripiega in un paesaggio da ‘campagna in città’ che trova nella villa Buonvisi, poi Bottini, e negli orti delle comunità conventuali una adeguata espressione.
Nota bibliografica
Per le mura romane, si rinvia a G. CIAMPOLTRINI, Lucca. La prima cerchia, Lucca 1995 (= Ciampoltrini 1995), con una sintetica rassegna bibliografica degli studi, e recensione della documentazione archivistica e documentaria; il contributo di P. MENCACCI, Lucca. Le mura romane, Lucca 2001, ha risolto – in particolare – il problema delle cave del materiale da costruzione.
Per i restauri augustei, si veda G. CIAMPOLTRINI, Paesaggi urbani e rurali di una colonia augustea, in Ad limitem. Paesaggi d’età romana nello scavo degli Orti del San Francesco, a cura di G. Ciampoltrini, Lucca 2007, pp. 13-42 (= Ciampoltrini 2007 b); per le mura nella Tarda Antichità, sintesi in G. CIAMPOLTRINI, La città e la pieve. Paesaggi urbani e rurali di Lucca fra Tarda Antichità e Alto Medioevo, in San Pietro in Campo a Montecarlo. Archeologia di una plebs baptismalis del territorio di Lucca, a cura di G. Ciampoltrini, Lucca 2007, pp. 15-67 (= Ciampoltrini 2007 b).
Per le mura medievali si veda G. CIAMPOLTRINI, La seconda cerchia di Lucca fra fonti documentarie e evidenza archeologica in G. CIAMPOLTRINI – M. ZECCHINI, Palazzo Arnolfini in Lucca. Materiali per l’archeologia e la storia della città dal Medioevo al tardo Rinascimento, Lucca 2002, pp. 87-106 (= Ciampoltrini 2002). Sintesi ricca di materiale iconografico è l’opera di P. MENCACCI, Lucca. Le mura medievali (sec. XI-XII), Lucca 2002; dello stesso autore, fondamantale anche il contributo sulle mura del Tardo Medioevo: P. MENCACCI, Lucca. I borghi medievali (sec. XIV-XVI), Lucca 2003.
Gli inediti scavi di Palazzo Poggi sono sinteticamente presentati in G. CIAMPOLTRINI, Gli “astrachi” bassomedievali di Lucca, in Tra città e contado. Viabilità e tecnologia stradale nel Valdarno medievale, Atti del Convegno di Montopoli in Val d’Arno 2006, a cura di M. Baldassarri e G. Ciampoltrini, San Giuliano Terme 2007, pp. 91-100 (= Ciampoltrini 2007 c).
Per l’iconografia urbana di Lucca, è preziosissimo Lucca: iconografia della città, a cura di G. Bedini e G. Fanelli, Lucca 1998 (= Iconografia 1998).
Didascalie alle figure
Fig. 1. Il cantiere di restauro del tratto di mura fra il Baluardo Santa Croce e la Piattaforma San Frediano.
Fig. 2. Le mura medievali nell’area del cantiere: la tecnica costruttiva.
Fig. 3. Le mura medievali nell’area del cantiere: la torre della prima fase, a pianta poligonale.
Fig. 4. Le cerchie murarie di Lucca in una ricostruzione cartografica della metà del Cinquecento.
Fig. 5. La torre delle mura tardorepubblicane in Via dell’Angelo Custode (marzo 2008).
Fig. 6. Le mura tardorepubblicane con i restauri tardoantichi (gennaio 2005).
Fig. 7. Torre delle mura tardoantiche nell’area del San Girolamo.
Fig. 8. Le mura medievali nell’area di Palazzo Poggi: veduta dall’alto.
Fig. 9. Le mura medievali nell’area di Palazzo Poggi: il paramento interno.
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