San Vincenzo al Volturno, frequentato un po' di tempo fa, due anni, su vie che arrivavano fino a Matera e poi su su in terre di Lombardia, sempre partendo da Roma, e passavano per Santa Reparata, a Lucca.
Apparizioni multiple, diffuse negli anni, le illusioni del marmo che i fratelli vescovi prodigavano per San Martino, e facevano fare d'intonaco dipinto nella seconda cripta. Il marmo era finito.
O così si pensa, altri no.
Ma rivedere la grappa di San Vincenzo al Volturno, solido terminus ante quem, liquido post quem, perché il pittore di Lucca si distingue, è generoso di grappe e di chiodi, per un attimo risveglia dal letargo estivo, e fa viaggiare nel secolo – sì, meglio largheggiare – che precede e segue gli anni del re Carlo. Tanto vagheggiato, un bluff, avevano ragione gli eruditi lucchesi.
Le grappe di chi ancora vedeva i veri marmi di Roma, e per signorotti longobardi, e anche franchi, preti e vescovi e abati d'ogni genere, li rifaceva con qualche pennellata.
Ma con le grappe, e i chiodi, perché l'illusione è nella grappa.