sabato 22 novembre 2014

Anamorfosi di un paesaggio. Le storie narrate dalla terra dell'Ospedale San Luca di Lucca e le storie di tanti amici










Anamorfosi: il termine polivalente che in zoologia indica una trasformazione repentina, e nella pittura l’effetto ottico che rende compiutamente leggibili le immagini solo da una particolare angolazione è già stato applicato alla storia urbana di Lucca, per sintetizzare la sequenza di trasformazioni che ha investito il quadrante sud-occidentale della città, dall’età romana all’Ottocento, così come è emersa dai saggi condotti fra 2013 e 2014 per la realizzazione del progetto PIUSS.
Ancor più adatto pare il termine per la storia che hanno raccontato anni di scavo – dal 2009 al 2012 – nel cantiere del San Luca, nella periferia orientale dell’attuale agglomerato urbano, tra l’Arancio e San Filippo, e poi – fino ad oggi – nei depositi e nei laboratori. Ne sono emerse vicende di mutamenti di paesaggi e di insediamenti, dapprima in un ambiente dominato dai fiumi, poi dalle strade che ne determinano il complesso rapporto con un polo urbano così vicino. Solo in questo ‘contesto’ – come si sarebbe detto un tempo – è possibile trovare il ‘punto di vista’ da cui, per ‘anamorfosi’, i singoli episodi possono ottenere pienezza di colori e di volumi.
Parte ancor più da lontano la storia delle ricerche, con gli accordi di programma fra Regione Toscana e Ministero per i Beni Culturali per la costruzione dei quattro nuovi poli ospedalieri della Toscana settentrionale, nel 2005, e con l’applicazione sperimentale di una forma di ‘archeologia di tutela’ sostanzialmente non dissimile da quella che sarebbe stata strutturata negli articoli 95 e 96 del Decreto Legislativo 163 del 2006, e avrebbe trovato possibilità di concreta attuazione nella circolare della Direzione Generale per le Antichità del 2012 (10/2012).
Nel 2009, quando prese avvio il cantiere con la procedura delle opere di bonifica bellica – BOB: B(onifica) O(rdigni) B(ellici) – erano quindi disponibili una scheda per la ‘valutazione dell’impatto archeologico’ e una strategia di saggi diagnostici, messe a punto dalla Cooperativa Archeologia di Firenze d’intesa con la Soprintendenza, e motivate dai dati desumibili dai ritrovamenti del passato in aree contigue (da San Filippo a Tempagnano) e dal reticolo della centuriazione, con il possibile condizionamento sulle infrastrutture e sul sistema di insediamenti già riconosciuto nella Piana di Lucca.
A dimostrazione che la realtà è di norma più screziata di quanto possa immaginare la fantasia dell’archeologo, e che gli algoritmi della predittività archeologica fondati su serie storiche di dati hanno valore meramente probabilistico, furono le trivelle della BOB, con il quadrettato di carotaggi disposto su tutta l’area del San Luca, a rivelare che un complesso intreccio di stratificazioni e di strutture era sepolto sotto il paesaggio di boschi planiziali di recente formazione e di prati che le fotografie satellitari consentivano di apprezzare al margine della Via Romana, lambito dall’espansione del suburbio di Lucca in un connubio talora straniante di antiche corti e di nuove villette – la penultima ‘anamorfosi’ (fig. 1). I frammenti ceramici, i relitti di murature portati in luce dalle trivelle, minuziosamente esaminati dagli archeologi della Cooperativa Archeologia – con l’appassionata, continua presenza di Domenico Barreca – disegnavano una mappa straordinariamente più affascinante ed inquietante di quella che le valutazioni formulate sulla scorta dei dati già acquisiti potevano far immaginare (fig. 2).
Ancor più efficaci furono i risultati della serie infinita di saggi che la BOB impose per valutare se i ‘segni’ potenzialmente riconducibili a ordigni interrati erano tali, o dovuti ad altre presenze. Ancora con Domenico Barreca, d’intesa con la direzione dei lavori, fu messo a punto un metodo capace di contemperare le esigenze di sicurezza – particolarmente stringenti nel caso della BOB – con quelle di salvaguardia del patrimonio archeologico.
Le trincee diagnostiche si dilatarono dunque, progressivamente, nell’autunno e nell’inverno 2009-2010 divennero saggi su ampia estensione che in alcuni casi – in particolare al margine meridionale dell’area – portarono all’esplorazione integrale dei contesti (fig. 3), con opere agricole d’età romana distribuite su tutto il compendio; un lacus vinarius, ancora d’età romana; una struttura con la straordinaria testimonianza di vita contadina proposta da un ricco campionario di ceramiche databili al volgere fra Otto- e Novecento. In alcuni settori fu motivatamente esclusa la presenza di stratificazioni archeologiche; in altri, infine, vennero acquisiti i dati indispensabili per progettare nuove ricerche, funzionali ad assicurare la compatibilità fra le opere di progetto e le strutture archeologiche. Fu in questo momento che apparve, in un sito di immagini satellitari (Bing Maps), una veduta obliqua dell’area del San Luca in cui risaltavano i segni di un edificio sepolto dal solo suolo agricolo, che già le trivelle avevano in parte disegnato con i frantumi di strutture portati in superficie, e che i primi saggi stavano ricomponendo nel suo ordito. Una vera e propria ‘anamorfosi’, possibile solo in un momento ‘magico’ di crescita della vegetazione e con una particolare angolazione della ripresa aerea.
Con il personale della COSAT, che stava allestendo il cantiere – conclusa con esito positivo la BOB – e la componente della ASL 2 di Lucca – piace ricordare il direttore pro tempore ingegnere Oreste Tavanti e il Responsabile del Procedimento ingegnere Gabriele Marchetti – fu progettato e affidato l’incarico di esplorazione integrale delle stratificazioni archeologiche.
Dall’estate all’autunno del 2010, fra ripetuti episodi di allagamento (fig. 4) e siccità estive (fig. 5), gli archeologi della Cooperativa Archeologia – coordinati da Domenico Barreca con Silvia Giannini – misero in luce l’intero ordito del complesso, rivelatosi una mansio d’età romana capace di essere riconosciuta nella veduta satellitare, grazie anche al manto protettivo di geotessile (fig. 6), che apparve edificata su un sito già frequentato fra VIII e VI secolo a.C.; furono scavate strutture d’età medievale quasi sovrapposte ai resti di insediamenti etruschi d’età arcaica; fu completata l’esplorazione di un potente sedimento tardoantico. Infine, nell’arcipelago di stratificazioni che segna, al margine nord-occidentale del San Luca, l’area più vicina alla Via Romana, affiorò uno scarico con materiali farmaceutici d’età contemporanea, quasi preludio all’ultima, attuale ‘anamorfosi’ dell’area del San Luca.
Il rilievo del complesso delle strutture – in particolare d’età romana – sovrapposto a quello degli edifici del San Luca non segnalava criticità se non in due punti: la sovrapposizione dell’angolo sud-occidentale del corpo centrale dell’ospedale al lacus vinarius; l’incrocio fra la cloaca emissaria della mansio e il corridoio sotterraneo di collegamento del corpo centrale con l’edificio destinato alle attività amministrative (cosiddetto ‘Economale’). Nell’ambito dell’attività autorizzativa affidata dalla normativa vigente pro tempore alla Direzione Regionale per i Beni Culturali, e nel contesto di un progetto complessivo di valorizzazione del patrimonio archeologico dell’area del San Luca, fu disposta la ricollocazione del lacus e del segmento di cloaca, rispettivamente al margine sud-occidentale del complesso, in contiguità dell’eliporto e in prossimità dell’accesso al Pronto Soccorso, e nel cortile interno. La ricollocazione fu messa in atto fra 2011 e 2012, con cantieri affidati rispettivamente alla Cooperativa Archeologia e all’impresa Graziano Nottoli di Lucca. Questa provvedeva infine, con gli archeologi Alessandro Giannoni ed Elena Genovesi, nell’estate del 2011 e poi nell’anno successivo, a concludere lo scavo: il ritrovamento di un sepolcreto dell’VIII secolo a.C. investito dal peristilio della mansio e prima ancora nel III secolo a.C., con il singolare episodio di ‘riuso’ di un pozzetto funerario, l’esplorazione dei relitti di un insediamento d’età ellenistica e del pozzo che alimentava la fontana-ninfeo della mansio, segnavano infine, nell’estate del 2012, la conclusione delle indagini archeologiche, a quasi tre anni dalle prime attività diagnostiche.
Il progetto di valorizzazione era avviato già nel 2010, con le attività sui materiali – affidate a Consuelo Spataro, nel laboratorio che il Comune di Porcari mette a disposizione per l’archeologia della Piana di Lucca, e ad Araxi Mazzoni del Centro di Restauro della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana – che trovavano la prima presentazione nell’autunno del 2011, con la mostra Emersioni. Il nuovo ospedale porta alla luce tremila anni di storia della Piana di Lucca, allestita nella Casermetta del Museo Nazionale di Villa Guinigi in Lucca. Prendeva corpo, già nel 2012, il progetto di un percorso espositivo da allestire nella sala d’ingresso dell’ospedale. La D’Arch Studio s.r.l., con l’architetto Luciano Lucchesi, provvedeva alla progettazione dei contenitori e dei pannelli cui era affidata la sintetica narrazione delle storie emerse dallo scavo, in un percorso a ritroso nel tempo che incontra il visitatore con le testimonianze d’età contemporanea – la ‘discarica del malato’ e le ceramiche di una casa della campagna lucchese fra Otto- e Novecento – e lo conduce sino agli Etruschi dell’Età del Ferro.
Anche le pagine che seguono vogliono raccontare questa storia, senza indulgere all’erudizione, coinvolgendo piuttosto il lettore con ampi spazi per l’illustrazione dei materiali e per la documentazione di scavo – rilievi, fotografie – dovuta all’eccellenza degli archeologi che hanno operato sul cantiere, in un contesto oggettivamente difficile per la sovrapposizione della componente archeologica a quella propriamente edile.
Il coordinamento del Responsabile del Procedimento, ingegnere Gabriele Marchetti, con la collaborazione dell’ingegnere Letizia Caselli, la disponibilità della COSAT, la duttilità degli archeologi hanno permesso di non sottrarre dati alla documentazione, senza determinare particolari problemi per il cronoprogramma dei lavori, con le conseguenze sui costi di realizzazione. L’apparato bibliografico è ridotto all’essenziale, e privilegia di massima materiali disponibili sulla rete, semplicemente avviando sui motori di ricerca, come parole-chiave, i titoli dei contributi. Altre sedi accoglieranno – ci si augura – le severe riflessioni che impone la massa di dati emersa fra l’Arancio e San Filippo, dai villaggi etruschi sui fiumi e dagli  edifici romani, medievali, d’età contemporanea, lungo la strada che portava a Lucca, nel paesaggio oggi segnato – l’ultima ‘anamorfosi’ – dall’Ospedale San Luca.


Giulio Ciampoltrini